20 giugno. Le valigie sono pronte, la meta è scelta, i
biglietti sono confermati. Bairnsdale ci saluta con un ultimo giorno di pioggia
mentre noi mandiamo la nostra stufetta a legna al massimo per tenerci caldi.
21 giugno. Le nuvole danno finalmente tregua lasciandoci
ammirare il paesaggio mentre usciamo dal nostro isolamento: le montagne
lasciano posto ai laghi, con intorno pascoli che splendono sotto i raggi del
sole mattutino. Siamo soltanto Ame, io e l’autista, che scopriamo presto essere
uno svedese impiantato in Australia. Ride del fatto che quest’anno farà
parecchio freddo e gli australiani, digiuni di gelate, si troveranno con
parecchi tubi dell’acqua scoppiati, perché li mettono appena 10 cm sotto terra,
e lì il gelo arriva senza problemi. Durante il viaggio sale altra gente, hippies sopravvissuti agli anni ’70, e
dopo un po’ si inizia a chiacchierare su come gli australiani abbiano rovinato
fauna e flora, di come tutto funzioni meglio con un po’ di buon senso, di come
sia bella la vita fuori dalle istituzioni e tanti altri piacevolissimi
argomenti molto hippies. Dopo ore arriviamo in città, dove alle 23 prenderemo
il nostro autobus per Sydney. Preoccupati di passare le prossime 11 ore in una
città che ha veramente poco da offrire, camminiamo lentamente chiacchierando,
guardandoci ogni vetrina. Ad un certo punto una signora esce da un negozio
dicendo “parlate italiano?”
È così che incontriamo Gianna e Roberto, veneti, impiantati
in Australia perché nel 2007 lui sentiva che “qualcosa non andava”. E aveva
ragione. Ora ha un business che garantisce a lui, sua moglie e sua figlia, una
vita dignitosa. Non ama l’Australia quanto ama l’Italia, ma almeno gli sta
dando possibilità di vivere. Tra le chiacchiere ci offrono qualche fetta di
torta, cappuccino e caffè lungo, due cioccolatini… sono felici di parlare
italiano e qualche volta fanno fatica a trovare le parole perché sono cinque
anni che parlano quasi solo inglese.
Ad un certo punto sentiamo un suono… ci guardiamo in faccia
domandandoci cosa sia. Capisco che è un cellulare… ed era il mio cellulare! Tre
settimane di isolamento telefonico mi avevano fatto totalmente dimenticare l’uso
di questi aggeggi che riempiono ogni istante della nostra esistenza. Ho
risposto, ho chiuso… e l’ho spento. Sono semplicemente tornato a parlare con
chi avevo di fronte a me in quel momento. Quasi all’orario di chiusura arriva
una coppia molto divertente, Robert e Bernadette, e iniziano altre
chiacchierate. Reciprocamente felici della compagnia, decidono di invitarci a
casa, offrendoci la cena e accompagnandoci poi all’autobus. Passiamo delle ore
in ottima compagnia parlando delle nostre esperienze e ascoltando le loro,
facendo tesoro della saggezza del kookaburra: ridere sempre, qualsiasi cosa
accada. È il loro modo di affrontare momenti molto difficili, e forse è l’unico
modo per superarli.
22 giugno, ore 00.00. Stiamo viaggiando da poco più di
mezz’ora. Ame già cerca posizioni per dormire mentre io faccio di tutto per
disturbarla perché non ho sonno e mi annoio parecchio. Un occhiataccia mi
riporta alla dura realtà, così provo a pensare anche io ad un modo per dormire
in viaggio. C’è posto, così posso scatenare la mia fantasia senza troppi
problemi: testa al corridoio e sedere al vetro, gambe rannicchiate. L'autista
guida da cani e ad ogni curva le gambe vanno fuori posto e la testa esce fuori
dal sedile spuntando nel corridoio. Testa al vetro e sedere al corridoio.
L’autista continua a guidare da cani, così la testa invece di uscire nel corridoio
ora sbatte ripetutamente sul vetro. Come se non bastasse il vicino s’è steso
pancia all’aria a pelle d’orso su quattro sedili, russando con la stessa
intensità di una motozappa a regime. Ame mi passa i tappi per le orecchie,
risolvendo il problema russaggio, ma niente risolverà il problema autista.
Finalmente trovo la combinazione testa al vetro e zainetto di supporto ed
ammortizzazione e gambe rannicchiate che mi soddisfa per una mezz’oretta, poi
le gambe scompaiono nel regno dei morti costringendo me ad agire in quello dei
vivi per resuscitarle tra formicolii e improperi. Finalmente mi arrendo
all’opzione del vicino russatore e mi allungo anche io sui quattro sedili a
pelle d’orso trovando pace per un paio d’ore, e poi fino alle sei di mattina. Il
sole sorge, rivelando le magnifiche coste frastagliate a sud di Sydney, con i
cavalloni che s’infrangono sugli scogli dissolvendosi in nebbia.
Sydney ci accoglie con la pioggia battente, lasciandoci
qualche minuto di tregua per arrivare da un parente acquisito che ci ospiterà
per la notte. Dopo aver chiacchierato a lungo di energia nucleare (è un esperto
mondiale) ci consiglia vivamente di andare a vedere l’Opera House. Cogliamo
l’occasione al volo e usciamo confidando in un clima migliore. Ma il clima se ne
frega altamente delle nostre aspettative regalandoci ancora più pioggia di
quanta ne potesse servire per disturbarci. Arriviamo infatti a destinazione con
le trote nelle scarpe e poca voglia di sorridere. In realtà non ne valeva la
pena dato il clima da cani, ma valeva la pena di passeggiare per le strade di
Sydney e vedere il porto, bello anche con la pioggia.
Sydney a mio avviso è più
bella di Melbourne: molto più irregolare, un misto architettonico che accenna a Londra e
Parigi, un clima più stabile, gente dall’aspetto più europeo… mi dicono che ho
visto solo le parti più belle (Paddington, porto, stazione centrale), ma devo
dire che quello che ho visto mi piace un bel po’ e ci torneremo sicuramente
per conoscere qualcosa di più.
Notte di riposo finalmente in un letto comodo, alle 9.30
in stazione per prendere il treno, mentre Sydney ci saluta sotto la pioggia
battente, come a dirci “non è ancora il vostro momento di fermarvi, continuate
il viaggio”.
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