lunedì 25 marzo 2013

Sorridere

Si imparano tante lezioni quando ci si mette in gioco. E per me, la più dura di tutte da imparare è: misurare l’entusiasmo. Ormai voi che mi leggete da ben quattro mesi sapete benissimo quanto spesso mi entusiasmi per poi arrivare alla solita delusione, alla dura verità, al “nulla di fatto”. E mi dispiace dirvi che anche questa settimana è andata a scatafascio. Non si tratta di sfiga e nemmeno di incapacità del sottoscritto, ma di un insieme di concause che portano quasi necessariamente al punto in cui mi trovo.

Provo a spiegarmi meglio.

Sappiamo tutti che l’Italia naviga in pessime acque. No, dai, pessime è un complimento... stiamo sull’orlo del baratro ma facciamo finta di niente sperando che non se ne accorga nessuno. Crescendo vertiginosamente la disoccupazione e risultando quasi impossibile accaparrarsi il fantomatico “primo impiego”, molti ragazzi hanno deciso di lasciar la terra natia per cercar fortuna in altri lidi, e io tra questi. Ma nessuno sa effettivamente di quanti ragazzi stiamo parlando. Provo a darvi un’idea: se cammino a caso per Melbourne in una qualsiasi ora del giorno, ascoltando parlare la gente, nel giro di soli cinque minuti incontro il primo gruppetto di under trenta che parla in italiano. Siamo tantissimi, siamo ovunque, ma non siamo soli. Quello che nessuno ancora vi ha detto è che ad oggi l’Australia è piena zeppa anche di altri europei, primi tra tutti (dopo noi italiani) i francesi, seguono inglesi, tedeschi, irlandesi e olandesi... sì, avete capito bene, stanno scappando dall’Europa perfino i tedeschi e gli olandesi, gente nota per il loro benessere, per la solidità del loro sistema economico e per le grandi opportunità di lavoro che hanno nel loro paese.

Ed eccoci al punto (il primo): i datori di lavoro australiani, di fronte a una così ampia scelta di manodopera più o meno qualificata, hanno iniziato a fare gli italiani, ovvero pagano in nero e sottopagano, incuranti di tutte le stupende leggi che questo Stato ha messo in atto per garantire a tutti una vita decente. Pensate che le campagne, il posto dove NESSUNO vuole andare, sono sa-tu-re. Sono settimane che cerco un lavoro in campagna e non ricevo mai risposta.

Chi invece cerca di pagare in regola, invece, si trova di fronte alla stupenda varietà di scelta offerta dall’ondata migratoria di gente tutt’altro che incapace. Come ben sapete dal precedente post, avevo preso lavoro come fundraiser per un’agenzia dall’aspetto rispettabile e onesto. Il lavoro consisteva nel raccogliere soldi per permettere ai clown di entrare negli ospedali pediatrici e dare un sorriso ai bambini, soprattutto quelli in condizioni gravi, gravissime o irrecuperabili. Appassionato alla tematica, infervorato dal fuoco della giusta causa, felice come una pasqua (siamo quasi in tema, è la settimana prossima!), mi sono buttato a capofitto in questa esperienza con tutta la passione di un bambino. Lo scopo era far firmare alle persone una donazione continuativa... sì, come una bolletta ma pagata ogni mese e per il bene di qualcuno che non conosci (quindi, effettivamente, proprio come una bolletta!). Ci viene detto che è facilissimo far firmare sette-otto persone a settimana, infatti dopo l’ottava si sarebbe guadagnata una commissione del 15% su ogni donazione.

Arrivo pimpante sulla strada, sorriso a trentadue denti, camice da dottore/clown con i bottoni colorati, papillon, capello arruffato per rendermi più sofficioso, divertente e coccoloso, deciso a far aderire più gente possibile alla giusta causa. Sorrido, stringo mani, saluto, attacco bottone, risorrido, mi metto a eseguire per strada balletti stupidi, rifermo la gente, riparlo... a fine giornata NESSUNO ha voluto aderire all’iniziativa e non perché insensibili ma perché, giustamente, sono veramente pochi quelli che accettano di farsi mettere le mani sul proprio conto in banca. E quanto li capisco! Molti invece sarebbero ben disposti a darmi soldi in contante, così, sul momento. Ma non posso accettarli. Mi viene detto dalla team leader che non concludo perché non so bene il mio discorso: una pagina A4 di parole che dovrebbero portare – secondo loro – la persona a sentirsi così emozionalmente coinvolta da non poter far altro che firmare... bah. Giramento sovrano di scatole, ma abbozzo e decido di impegnarmi e vedere se ha ragione: imparo a perfezione il discorsetto tanto che la mattina successiva mi vengono fatti i complimenti! Ma il risultato durante il giorno non cambia. Una ragazza, che ha iniziato con me, acchiappa la sua preda... ma in realtà è la preda che acchiappa lei: voleva donare e decide di farlo al volo.

Passa il giorno, arrivo a sera esausto ed esaurito senza nessuna sottoscrizione. Stessa cosa succede il giovedì. Il venerdì, la ragazza che aveva iniziato con me e io decidiamo di mettere in atto nuove tecniche per fermare la gente che si rivelano buffe e parecchio efficaci. In meno di dieci minuti veniamo rimproverati dalla team leader e siamo costretti a tornare alla tecnica passiva di prassi. A fine settimana il risultato del gruppo è di zero per me, uno per l’altra nuova arrivata, tre per la team leader e tre per l’altra ragazza che stava lì da tre settimane. Insomma, numeri ben lontani dai fantomatici sette-otto a settimana minimo. Il venerdì vengo licenziato, sì, avete capito bene, vengo licenziato perché “ho perso passione”. Cosa certamente vera, ma non evidente, dato che la gente continuava a sorridermi, stringermi la mano e si fermava a parlare. Inoltre la simpatica team leader ha visto bene di prendersi sempre le strade con maggiore affluenza, lasciando le bricioline a noi novizi... senza seguirci minimamente e senza formarci. Ringrazio il cielo che Amélie mi sia venuta a prendere la sera, e qualche volta abbia pranzato con me, in modo da poter essere testimone di quello che dico, altrimenti farei la figura di chi dice “l’uva era acerba”.

E questo è il secondo punto: dato che c’è tanta gente, prima o poi arriverà qualcuno che non devono minimamente formare e che li faccia guadagnare senza spese, risparmiando così sulla formazione di nuove reclute.

Ho comunque imparato tanto da questa esperienza e sono felice di averla fatta: trovare dentro se stessi la motivazione per rimanere in piedi e sorridere agli sconosciuti non è cosa che mi venga naturale. Arrivato a sera, esausto e scoraggiato, c’erano dei momenti in cui avrei solo voluto strapparmi di dosso il costume e andarmene mandando tutti a quel paese. Ma alla fine ho imparato – perché sono stato costretto – a sorridere, nonostante tutto. E la cosa più bella è stata trovare la fonte di energia rinnovabile più potente dell’universo: il sorriso delle persone. Se non sorridevo, la gente mi guardava scorbutica, ma se sorridevo ricevevo sorrisi in cambio, e più sorridevo più sorrisi ricevevo, ricaricandomi e sorridendo ancora di più! La mattina, certe volte, per superare momenti di sconforto abbracciavo gli sconosciuti (previo consenso, ovviamente), e la cosa generava tanta ilarità in loro quanta ne generava in me, ricaricandomi in un attimo di vera e propria energia positiva!

E ora? Ora sono di nuovo senza lavoro, di nuovo alla ricerca, ma con un’arma in più: il sorriso. Così, appena licenziato, mi è stato facile andare a ballare, a cuor leggero, le danze scozzesi con Amélie e un gruppo di simpatiche vecchiette...
Sì! Avete capito bene! Mi sono messo a ballare danze scozzesi! Proprio io che non ho mai ballato in vita mia! E mi diverto un sacco! Ancora non ho il gonnellino ma state certi che se arriva uno stipendio come si deve me lo compro!

Nel mentre si cerca lavoro e domani proverò a farmi prendere part-time come dog-groomer: il toelettatore di cani! E non mi si venga a dire che non le ho provate tutte!

WOF! Alla prossima settimana!!!

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