Attimi
di pace a Melbourne. Un musicista su Swanston Street suona il violoncello mentre
alla sua destra un gruppetto di breakdancers smania per avere il suo posto e
alla sua sinistra quattro barboni stanno provando a non sembrare totalmente
ubriachi con scarsissimo successo. Molti passano incuranti del talento,
indifferenti ai meravigliosi brani di musica classica che questo solitario e
introverso artista regala al marciapiede, e con lui ai suoi fugaci abitanti.
Amélie e io ci fermiamo ad ascoltare, assieme a una dozzina di persone di tutte
le etnie e nazionalità. Ogni tanto mentre suona alza la testa e ci guarda per
un istante, sollevando un angolo della bocca in un lieve rapidissimo sorriso di
soddisfazione di chi è consapevole di regalare tanto con delle note e uno
strumento.
È
piacevole e dà pace, e permette di dimenticare la realtà che lo circonda se si
riesce ad ascoltarlo con la dovuta attenzione. Melbourne, città racchiusa nei
suoi artisti di strada, dà speranza, speranza di essere visti, notati dalla
persona giusta, per quello che si è, non per quello che si scrive in un
curriculum. Ma non è il paradiso. Nasconde trappole, insidie, e tra queste la
più grande è passare inosservati, rinchiusi in una cucina, o a servire caffè...
solo perché non si ha avuto il coraggio di volare alto. Ci vuole coraggio per
mettersi in gioco, ostinazione per vincere, pazienza per raccogliere i frutti
di settimane di semina.
E ho
seminato parecchio in questa settimana, su un’area vasta com’è il Victoria,
alla ricerca di un contatto con le cooperative archeologiche di questo Stato. Se
la risposta sarà negativa, avanti il prossimo! Il prossimo Stato, intendo. Prima
il New South Wales, dove ancora ho un appoggio, poi gli altri, dal più vicino
al più lontano. Il mio curriculum sarà sulla scrivania di tutte le cooperative
archeologiche dell’Australia, se necessario! Non voglio passare inosservato,
devo sfruttare tutte le mie energie e la mia creatività per accaparrarmi un
lavoro nel mio ambito di studi. Per questo questa settimana mi sono rifiutato
di cercare lavoro in altri settori. In compenso mi hanno risposto dalla Flight
Centre, la più grande agenzia viaggi australiana. Hanno respinto la mia
richiesta a causa del tipo di visto che ho: come dicevano anche da altre parti,
le persone col Working Holiday visa non sono prese seriamente in
considerazione. L’accento, nella mente di chi riceve i curriculum, cade più
sulla vacanza che sul lavoro. Sono disposti a dare il tempo indeterminato o a
vincolarti con contratti annuali, motivo per cui il limite del mio visto, massimo
sei mesi per azienda, proprio non gli va giù.
E
ora si aspetta di raccogliere i frutti. Nel mentre posso ricominciare a cercare
lavoro per ambiti diversi dal mio, lavori che non mi potranno mai dare la
sponsorship ma che almeno mi permetteranno di guadagnare qualche soldo e,
chissà, forse anche di crearmi nuove professionalità. Cuoco? Cementista? Cartongessista?
Ce n’è per tutti i gusti, ma nessuno mi permetterà di rimanere in Australia per
più di un anno.
Intanto
Amélie migliora il suo inglese: parla di più, capisce di più, anche se non se
ne accorge. Era lo stesso per me, all’inizio: il miglioramento era così lento
che non potevo percepirlo. Poi tutto d’un tratto mi sono ritrovato a capire la
maggior parte delle persone, anche al telefono. Bisogna solo lasciarsi il tempo
di imparare, e si fa tutto.
Teoricamente
saremmo entrati dell’autunno... già, dal primo marzo. In pratica ha fatto due
giorni di freddo (15-20 °C), con tanto di super acquazzone, per poi tornare a
30-32 °C.
Il mio
corpo chiede pietà. Non riesco ad abituarmi a ‘sto tempaccio. Un giorno muori
di freddo, l’altro evapori. Il sole scotta anche da sopra i vestiti... del
resto siamo in Australia, dove ogni cosa o è marsupiale, o è letale, o entrambi!
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