lunedì 4 marzo 2013

Nuvole marsupiali



Attimi di pace a Melbourne. Un musicista su Swanston Street suona il violoncello mentre alla sua destra un gruppetto di breakdancers smania per avere il suo posto e alla sua sinistra quattro barboni stanno provando a non sembrare totalmente ubriachi con scarsissimo successo. Molti passano incuranti del talento, indifferenti ai meravigliosi brani di musica classica che questo solitario e introverso artista regala al marciapiede, e con lui ai suoi fugaci abitanti. Amélie e io ci fermiamo ad ascoltare, assieme a una dozzina di persone di tutte le etnie e nazionalità. Ogni tanto mentre suona alza la testa e ci guarda per un istante, sollevando un angolo della bocca in un lieve rapidissimo sorriso di soddisfazione di chi è consapevole di regalare tanto con delle note e uno strumento.
È piacevole e dà pace, e permette di dimenticare la realtà che lo circonda se si riesce ad ascoltarlo con la dovuta attenzione. Melbourne, città racchiusa nei suoi artisti di strada, dà speranza, speranza di essere visti, notati dalla persona giusta, per quello che si è, non per quello che si scrive in un curriculum. Ma non è il paradiso. Nasconde trappole, insidie, e tra queste la più grande è passare inosservati, rinchiusi in una cucina, o a servire caffè... solo perché non si ha avuto il coraggio di volare alto. Ci vuole coraggio per mettersi in gioco, ostinazione per vincere, pazienza per raccogliere i frutti di settimane di semina.
E ho seminato parecchio in questa settimana, su un’area vasta com’è il Victoria, alla ricerca di un contatto con le cooperative archeologiche di questo Stato. Se la risposta sarà negativa, avanti il prossimo! Il prossimo Stato, intendo. Prima il New South Wales, dove ancora ho un appoggio, poi gli altri, dal più vicino al più lontano. Il mio curriculum sarà sulla scrivania di tutte le cooperative archeologiche dell’Australia, se necessario! Non voglio passare inosservato, devo sfruttare tutte le mie energie e la mia creatività per accaparrarmi un lavoro nel mio ambito di studi. Per questo questa settimana mi sono rifiutato di cercare lavoro in altri settori. In compenso mi hanno risposto dalla Flight Centre, la più grande agenzia viaggi australiana. Hanno respinto la mia richiesta a causa del tipo di visto che ho: come dicevano anche da altre parti, le persone col Working Holiday visa non sono prese seriamente in considerazione. L’accento, nella mente di chi riceve i curriculum, cade più sulla vacanza che sul lavoro. Sono disposti a dare il tempo indeterminato o a vincolarti con contratti annuali, motivo per cui il limite del mio visto, massimo sei mesi per azienda, proprio non gli va giù.
E ora si aspetta di raccogliere i frutti. Nel mentre posso ricominciare a cercare lavoro per ambiti diversi dal mio, lavori che non mi potranno mai dare la sponsorship ma che almeno mi permetteranno di guadagnare qualche soldo e, chissà, forse anche di crearmi nuove professionalità. Cuoco? Cementista? Cartongessista? Ce n’è per tutti i gusti, ma nessuno mi permetterà di rimanere in Australia per più di un anno.
Intanto Amélie migliora il suo inglese: parla di più, capisce di più, anche se non se ne accorge. Era lo stesso per me, all’inizio: il miglioramento era così lento che non potevo percepirlo. Poi tutto d’un tratto mi sono ritrovato a capire la maggior parte delle persone, anche al telefono. Bisogna solo lasciarsi il tempo di imparare, e si fa tutto.
Teoricamente saremmo entrati dell’autunno... già, dal primo marzo. In pratica ha fatto due giorni di freddo (15-20 °C), con tanto di super acquazzone, per poi tornare a 30-32 °C.
Il mio corpo chiede pietà. Non riesco ad abituarmi a ‘sto tempaccio. Un giorno muori di freddo, l’altro evapori. Il sole scotta anche da sopra i vestiti... del resto siamo in Australia, dove ogni cosa o è marsupiale, o è letale, o entrambi!

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