martedì 25 giugno 2013

Dalle montagne alla città...



20 giugno. Le valigie sono pronte, la meta è scelta, i biglietti sono confermati. Bairnsdale ci saluta con un ultimo giorno di pioggia mentre noi mandiamo la nostra stufetta a legna al massimo per tenerci caldi. 

21 giugno. Le nuvole danno finalmente tregua lasciandoci ammirare il paesaggio mentre usciamo dal nostro isolamento: le montagne lasciano posto ai laghi, con intorno pascoli che splendono sotto i raggi del sole mattutino. Siamo soltanto Ame, io e l’autista, che scopriamo presto essere uno svedese impiantato in Australia. Ride del fatto che quest’anno farà parecchio freddo e gli australiani, digiuni di gelate, si troveranno con parecchi tubi dell’acqua scoppiati, perché li mettono appena 10 cm sotto terra, e lì il gelo arriva senza problemi. Durante il viaggio sale altra gente, hippies sopravvissuti agli anni ’70, e dopo un po’ si inizia a chiacchierare su come gli australiani abbiano rovinato fauna e flora, di come tutto funzioni meglio con un po’ di buon senso, di come sia bella la vita fuori dalle istituzioni e tanti altri piacevolissimi argomenti molto hippies. Dopo ore arriviamo in città, dove alle 23 prenderemo il nostro autobus per Sydney. Preoccupati di passare le prossime 11 ore in una città che ha veramente poco da offrire, camminiamo lentamente chiacchierando, guardandoci ogni vetrina. Ad un certo punto una signora esce da un negozio dicendo “parlate italiano?”
È così che incontriamo Gianna e Roberto, veneti, impiantati in Australia perché nel 2007 lui sentiva che “qualcosa non andava”. E aveva ragione. Ora ha un business che garantisce a lui, sua moglie e sua figlia, una vita dignitosa. Non ama l’Australia quanto ama l’Italia, ma almeno gli sta dando possibilità di vivere. Tra le chiacchiere ci offrono qualche fetta di torta, cappuccino e caffè lungo, due cioccolatini… sono felici di parlare italiano e qualche volta fanno fatica a trovare le parole perché sono cinque anni che parlano quasi solo inglese.
Ad un certo punto sentiamo un suono… ci guardiamo in faccia domandandoci cosa sia. Capisco che è un cellulare… ed era il mio cellulare! Tre settimane di isolamento telefonico mi avevano fatto totalmente dimenticare l’uso di questi aggeggi che riempiono ogni istante della nostra esistenza. Ho risposto, ho chiuso… e l’ho spento. Sono semplicemente tornato a parlare con chi avevo di fronte a me in quel momento. Quasi all’orario di chiusura arriva una coppia molto divertente, Robert e Bernadette, e iniziano altre chiacchierate. Reciprocamente felici della compagnia, decidono di invitarci a casa, offrendoci la cena e accompagnandoci poi all’autobus. Passiamo delle ore in ottima compagnia parlando delle nostre esperienze e ascoltando le loro, facendo tesoro della saggezza del kookaburra: ridere sempre, qualsiasi cosa accada. È il loro modo di affrontare momenti molto difficili, e forse è l’unico modo per superarli.

22 giugno, ore 00.00. Stiamo viaggiando da poco più di mezz’ora. Ame già cerca posizioni per dormire mentre io faccio di tutto per disturbarla perché non ho sonno e mi annoio parecchio. Un occhiataccia mi riporta alla dura realtà, così provo a pensare anche io ad un modo per dormire in viaggio. C’è posto, così posso scatenare la mia fantasia senza troppi problemi: testa al corridoio e sedere al vetro, gambe rannicchiate. L'autista guida da cani e ad ogni curva le gambe vanno fuori posto e la testa esce fuori dal sedile spuntando nel corridoio. Testa al vetro e sedere al corridoio. L’autista continua a guidare da cani, così la testa invece di uscire nel corridoio ora sbatte ripetutamente sul vetro. Come se non bastasse il vicino s’è steso pancia all’aria a pelle d’orso su quattro sedili, russando con la stessa intensità di una motozappa a regime. Ame mi passa i tappi per le orecchie, risolvendo il problema russaggio, ma niente risolverà il problema autista. Finalmente trovo la combinazione testa al vetro e zainetto di supporto ed ammortizzazione e gambe rannicchiate che mi soddisfa per una mezz’oretta, poi le gambe scompaiono nel regno dei morti costringendo me ad agire in quello dei vivi per resuscitarle tra formicolii e improperi. Finalmente mi arrendo all’opzione del vicino russatore e mi allungo anche io sui quattro sedili a pelle d’orso trovando pace per un paio d’ore, e poi fino alle sei di mattina. Il sole sorge, rivelando le magnifiche coste frastagliate a sud di Sydney, con i cavalloni che s’infrangono sugli scogli dissolvendosi in nebbia. 

Sydney ci accoglie con la pioggia battente, lasciandoci qualche minuto di tregua per arrivare da un parente acquisito che ci ospiterà per la notte. Dopo aver chiacchierato a lungo di energia nucleare (è un esperto mondiale) ci consiglia vivamente di andare a vedere l’Opera House. Cogliamo l’occasione al volo e usciamo confidando in un clima migliore. Ma il clima se ne frega altamente delle nostre aspettative regalandoci ancora più pioggia di quanta ne potesse servire per disturbarci. Arriviamo infatti a destinazione con le trote nelle scarpe e poca voglia di sorridere. In realtà non ne valeva la pena dato il clima da cani, ma valeva la pena di passeggiare per le strade di Sydney e vedere il porto, bello anche con la pioggia.
Sydney a mio avviso è più bella di Melbourne: molto più irregolare, un misto architettonico che accenna a Londra e Parigi, un clima più stabile, gente dall’aspetto più europeo… mi dicono che ho visto solo le parti più belle (Paddington, porto, stazione centrale), ma devo dire che quello che ho visto mi piace un bel po’ e ci torneremo sicuramente per conoscere qualcosa di più. 

Notte di riposo finalmente in un letto comodo, alle 9.30 in stazione per prendere il treno, mentre Sydney ci saluta sotto la pioggia battente, come a dirci “non è ancora il vostro momento di fermarvi, continuate il viaggio”.

giovedì 20 giugno 2013

Finalmente è tornato il sole!

Siamo ancora vivi, non chiamate la Farnesina, ok? Ha piovuto quasi ininterrottamente per una settimana buona rendendo impossibile caricare qualsiasi cosa sul sito, ma quel po’ di connessione che c’era bastava per scrivere e leggere qualcosa su Facebook. Ora finalmente è tornato il sole con una dose di buone notizie! Sempre grazie al WWOOF abbiamo trovato la nostra prossima meta: Gunnedah! 

Nome che rammenta antiqui idiomi (è aborigeno), per designare località nuove: è una cittadina a Nord-Ovest (NNO) di Sydney, sperduta in mezzo al nulla, ma un po’ più desolante del solito: quattro alberi, una pozza d’acqua, una balla che rotola… e un po’ di mucche! Mansioni da svolgere: fare il mandriano a cavallo, sistemare quello che c’è da sistemare e chissà cos’altro. Ame invece si occuperà della casa e dell’orto, e forse pianteremo insieme gli alberi (per rendere l’area un po’ meno desolata), ma ancora è tutto da vedere.

Per arrivare ci metteremo tre giorni: partenza dal centro SIBA venerdì mattina, arrivo a Bairnsdale e da lì l’autobus per Sydney alle 11 di sera. Pernottamento da parenti di parenti e si riparte domenica mattina: sei ore di treno ci porteranno dalla civiltà all’outback australiano. La zona è segnata come “paese dei koala”… per forza, se ci sono rimasti quattro alberi in tutto, ci saranno almeno dieci koala per pianta! Supponiamo che siano solo più evidenti. Anche qui ci sono, ma andarli a scovare in mezzo alla foresta è una bella impresa! Un po’ come stanare il vombato, sport estremo in cui abbiamo clamorosamente fallito. Siamo riusciti solo a capire il perché della loro disseminazione defecatoria: in pratica marcano il territorio, per cui la fanno sempre in punti molto evidenti (tant’è che c’era un piazzale con due blocchetti e c’era una cacca per blocchetto, a mo’ di trofeo…). Si vocifera che chi fa la cacca più alta sia in realtà Sua Maestà il Re-Vombato, personaggio temuto e rispettato in tutto il bosco.
Altra notizia interessante, chi ha avuto un vombato domestico lo riporta con la stessa intelligenza di un cane e la stessa voglia di coccole, solo che invece del buco per seppellire l’osso ti fa il tunnel della manica tra l’orto e casa… dettagli.

Intanto mentre spaccavo la legna ho trovato un baby huntsman, si soli 5-6 cm di diametro! Ci tenevo tanto a vedere da vicino uno di questi placidi ragnoni (arrivano fino a 20 cm), tutto fumo e niente arrosto. Il ragno australiano più pericoloso (e mortale) è la Black Widow (in realtà qui si chiama Redback), tanto aggressiva da attaccarti se ti trovi in un raggio di un metro e mezzo. Quella preferisco non incontrarla manco morta…

E ora siamo in frenesia da viaggio: si impacchetta, si salutano gli amici, i vicini… una marea di gente interessante, contatti che rimarranno nel tempo, relazioni che in futuro potrebbero portare grossi frutti!


martedì 11 giugno 2013

Fra tazze di tè e canguri



Quando ci si trova immersi nella natura, uno dei primi cambiamenti in cui ci si imbatte è la percezione del tempo: nell’assenza della frenesia cittadina dovuta al progresso tecnologico e ai “necessari” ritmi del business, i giorni si susseguono lasciando il tempo di guardare la natura, porsi delle domande, ed eventualmente trovare anche le risposte. C’è tempo per tutto. C’è il tempo per lavorare, per chiacchierare, per riposarsi, per pensare, per una passeggiata, per un tè… niente è così urgente da impedire di respirare.

Una delle poche mansioni vitali è raccogliere la legna per le varie stufe, tagliarla se troppo grossa, scegliendo i legni giusti: quello che brucia più rapidamente, quello medio, e quello durissimo e pesantissimo che dura per ore nella stufa. Sono tutte varietà di eucalipto, ma con qualità talmente diverse tra loro da permetterne usi molto diversi. Ovviamente si raccoglie coi guanti da muratore, visto che qui il ragno non perdona. Ma nemmeno disturba: ho visto solo un White Tail, e nemmeno di dimensioni ragguardevoli. E ancora non ho visto un Huntsman, ragnone che arriva facilmente ai 20 cm di larghezza ma che a differenza dell’altro non è mortale. Effettivamente, prese le dovute precauzioni l’Australia non è così pericolosa. Certo, tutto rimane potenzialmente mortale, ma ammazza di più lo stress da ufficio che qualche serpente e qualche ragno australiano.

Ogni giorno abbiamo occasione di vedere qualche canguro, sia esso un piccolo wallaby o il canguro grigio, di taglia media. Abbiamo un opossum molto amichevole che si fa avvicinare parecchio mentre mangia qualche avanzo di cucina, e ogni tanto passa nel cielo il cacatoa nero (Calyptorhynchus funereus, Calyptorhynchus lathami), con la sua apertura alare ben superiore al metro e il suo verso tutt’altro che aggraziato (come del resto anche il suo volo! Pare volare con una svogliatezza senza pari); abbiamo avuto anche modo di vedere l’aquila cuneata (Aquila audax), che dai duemila metri d’altezza sorvola i boschi con più di due metri di apertura alare, e qualche emù (lo struzzo australiano, curiosamente non marsupiale) in libertà, purtroppo troppo lontani per permettere una foto decente (abbiamo apparecchiature tutt’altro che professionali!). Tra l’altro una notte ci siamo ritrovati anche un pipistrellino a svolazzare per la camera: entrato da un buco di areazione, per tirarlo fuori ho dovuto armarmi di coperta per acchiapparlo al volo (e per punizione, una bella foto!).

Ma ancora non abbiamo visto un vombato. Pare ce lo facciano apposta. Scorazzano per tutto il territorio, facendo buchi di notevoli dimensioni, si grattano la schiena sugli angoli delle casette degli altri abitanti del posto, cacano letteralmente ovunque, ma ancora non siamo riusciti a vederne uno!

In compenso sono riuscito a trovare (e fotografare) una tana di queste muscolosissime palle di pelo! Se avete un giardino e vi lamentate delle talpe, non venite in Australia: in un buco di vombato ci fate tranquillamente rotolare un cocomero! Ci hanno spiegato che solitamente si fanno una tana con quattro o più accessi, così se si sentono alle strette hanno sempre una via di fuga per svignarsela.

Dato che il nostro monaco deve presto andare in Tibet, ogni tanto si esce a piedi per andare a trovare i vicini: sta cercando di mettersi in forma in modo da reggere le lunghe camminate a oltre 4000 metri di altezza, dove l’ossigeno scarseggia facendo sentire molto di più la fatica. Veniamo così a conoscere la storia del posto: negli anni ’70 un ricco americano parecchio hippy decise di spendere tutti i suoi averi in 250 ettari di foresta accanto allo Snowy River, fondando quella che in Italia potremmo definire una “comune”. Di fatto è molto lungi dalle “comuni” nostrane, in quanto si basa su un abitare sparso, in cui si collabora per le imprese comuni, ma dove ognuno vive per conto proprio, cercando di vivere in un regime il più autarchico possibile. Le persone di cui si è circondato sono tutte molto particolari, affascinanti, strane, e di sicuro c’è tanto da apprendere.

Intanto a Jampal piace come lavoriamo, così ha deciso di tenerci una settimana in più: anche se niente di quello che facciamo è veramente urgente, ci piace portare a termine i lavori del giorno nel minor tempo possibile, così possiamo avere più tempo per fare ciò che ci pare e piace! Scorazzare tra i boschi alla ricerca di animali, fotografare, chiacchierare, prendersi una tazza di tè…