Si
imparano tante lezioni quando ci si mette in gioco. E per me, la più dura di tutte
da imparare è: misurare l’entusiasmo. Ormai voi che mi leggete da ben quattro
mesi sapete benissimo quanto spesso mi entusiasmi per poi arrivare alla solita
delusione, alla dura verità, al “nulla di fatto”. E mi dispiace dirvi che anche
questa settimana è andata a scatafascio. Non si tratta di sfiga e nemmeno di
incapacità del sottoscritto, ma di un insieme di concause che portano quasi
necessariamente al punto in cui mi trovo.
Provo
a spiegarmi meglio.
Sappiamo
tutti che l’Italia naviga in pessime acque. No, dai, pessime è un
complimento... stiamo sull’orlo del baratro ma facciamo finta di niente
sperando che non se ne accorga nessuno. Crescendo vertiginosamente la disoccupazione
e risultando quasi impossibile accaparrarsi il fantomatico “primo impiego”, molti
ragazzi hanno deciso di lasciar la terra natia per cercar fortuna in altri
lidi, e io tra questi. Ma nessuno sa effettivamente di quanti ragazzi stiamo parlando. Provo a darvi un’idea: se cammino a caso per Melbourne in una qualsiasi
ora del giorno, ascoltando parlare la gente, nel giro di soli cinque minuti incontro il primo gruppetto di under trenta che
parla in italiano. Siamo tantissimi, siamo ovunque, ma non siamo soli. Quello che
nessuno ancora vi ha detto è che ad oggi l’Australia è piena zeppa anche di
altri europei, primi tra tutti (dopo noi italiani) i francesi, seguono inglesi,
tedeschi, irlandesi e olandesi... sì, avete capito bene, stanno scappando dall’Europa
perfino i tedeschi e gli olandesi, gente nota per il loro benessere, per la
solidità del loro sistema economico e per le grandi opportunità di lavoro che
hanno nel loro paese.
Ed eccoci
al punto (il primo): i datori di lavoro australiani, di fronte a una così ampia
scelta di manodopera più o meno qualificata, hanno iniziato a fare gli
italiani, ovvero pagano in nero e sottopagano, incuranti di tutte le stupende
leggi che questo Stato ha messo in atto per garantire a tutti una vita decente.
Pensate che le campagne, il posto dove NESSUNO
vuole andare, sono sa-tu-re. Sono settimane
che cerco un lavoro in campagna e non ricevo mai risposta.
Chi
invece cerca di pagare in regola, invece, si trova di fronte alla stupenda
varietà di scelta offerta dall’ondata migratoria di gente tutt’altro che
incapace. Come ben sapete dal precedente post, avevo preso lavoro come
fundraiser per un’agenzia dall’aspetto rispettabile e onesto. Il lavoro
consisteva nel raccogliere soldi per permettere ai clown di entrare negli
ospedali pediatrici e dare un sorriso ai bambini, soprattutto quelli in
condizioni gravi, gravissime o irrecuperabili. Appassionato alla tematica,
infervorato dal fuoco della giusta causa, felice come una pasqua (siamo quasi
in tema, è la settimana prossima!), mi sono buttato a capofitto in questa
esperienza con tutta la passione di un bambino. Lo scopo era far firmare alle
persone una donazione continuativa... sì, come una bolletta ma pagata ogni mese
e per il bene di qualcuno che non conosci (quindi, effettivamente, proprio come
una bolletta!). Ci viene detto che è facilissimo far firmare sette-otto persone
a settimana, infatti dopo l’ottava si sarebbe guadagnata una commissione del
15% su ogni donazione.
Arrivo
pimpante sulla strada, sorriso a trentadue denti, camice da dottore/clown con i
bottoni colorati, papillon, capello arruffato per rendermi più sofficioso,
divertente e coccoloso, deciso a far aderire più gente possibile alla giusta
causa. Sorrido, stringo mani, saluto, attacco bottone, risorrido, mi metto a
eseguire per strada balletti stupidi, rifermo la gente, riparlo... a fine
giornata NESSUNO ha voluto aderire all’iniziativa e non perché insensibili ma
perché, giustamente, sono veramente pochi quelli che accettano di farsi mettere
le mani sul proprio conto in banca. E quanto li capisco! Molti invece sarebbero
ben disposti a darmi soldi in contante, così, sul momento. Ma non posso
accettarli. Mi viene detto dalla team leader che non concludo perché non so
bene il mio discorso: una pagina A4 di parole che dovrebbero portare – secondo loro
– la persona a sentirsi così emozionalmente coinvolta da non poter far altro
che firmare... bah. Giramento sovrano di scatole, ma abbozzo e decido di
impegnarmi e vedere se ha ragione: imparo a perfezione il discorsetto tanto che
la mattina successiva mi vengono fatti i complimenti! Ma il risultato durante
il giorno non cambia. Una ragazza, che ha iniziato con me, acchiappa la sua
preda... ma in realtà è la preda che acchiappa lei: voleva donare e decide di
farlo al volo.
Passa
il giorno, arrivo a sera esausto ed esaurito senza nessuna sottoscrizione. Stessa
cosa succede il giovedì. Il venerdì, la ragazza che aveva iniziato con me e io
decidiamo di mettere in atto nuove tecniche per fermare la gente che si
rivelano buffe e parecchio efficaci. In meno di dieci minuti veniamo
rimproverati dalla team leader e siamo costretti a tornare alla tecnica passiva
di prassi. A fine settimana il risultato del gruppo è di zero per me, uno per l’altra
nuova arrivata, tre per la team leader e tre per l’altra ragazza che stava lì
da tre settimane. Insomma, numeri ben lontani dai fantomatici sette-otto a
settimana minimo. Il venerdì vengo licenziato, sì, avete capito bene, vengo
licenziato perché “ho perso passione”. Cosa certamente vera, ma non evidente, dato
che la gente continuava a sorridermi, stringermi la mano e si fermava a
parlare. Inoltre la simpatica team leader ha visto bene di prendersi sempre le
strade con maggiore affluenza, lasciando le bricioline a noi novizi... senza
seguirci minimamente e senza formarci. Ringrazio il cielo che Amélie mi sia
venuta a prendere la sera, e qualche volta abbia pranzato con me, in modo da
poter essere testimone di quello che dico, altrimenti farei la figura di chi
dice “l’uva era acerba”.
E questo
è il secondo punto: dato che c’è tanta gente, prima o poi arriverà qualcuno che
non devono minimamente formare e che li faccia guadagnare senza spese,
risparmiando così sulla formazione di nuove reclute.
Ho
comunque imparato tanto da questa esperienza e sono felice di averla fatta:
trovare dentro se stessi la motivazione per rimanere in piedi e sorridere agli
sconosciuti non è cosa che mi venga naturale. Arrivato a sera, esausto e
scoraggiato, c’erano dei momenti in cui avrei solo voluto strapparmi di dosso
il costume e andarmene mandando tutti a quel paese. Ma alla fine ho imparato –
perché sono stato costretto – a sorridere, nonostante tutto. E la cosa più
bella è stata trovare la fonte di energia rinnovabile più potente dell’universo:
il sorriso delle persone. Se non sorridevo, la gente mi guardava scorbutica, ma
se sorridevo ricevevo sorrisi in cambio, e più sorridevo più sorrisi ricevevo,
ricaricandomi e sorridendo ancora di più! La mattina, certe volte, per superare
momenti di sconforto abbracciavo gli sconosciuti (previo consenso, ovviamente),
e la cosa generava tanta ilarità in loro quanta ne generava in me,
ricaricandomi in un attimo di vera e propria energia positiva!
Sì! Avete
capito bene! Mi sono messo a ballare danze scozzesi! Proprio io che non ho mai
ballato in vita mia! E mi diverto un sacco! Ancora non ho il gonnellino ma
state certi che se arriva uno stipendio come si deve me lo compro!
Nel mentre
si cerca lavoro e domani proverò a farmi prendere part-time come dog-groomer:
il toelettatore di cani! E non mi si venga a dire che non le ho provate tutte!
WOF!
Alla prossima settimana!!!