25 novembre,
22:00, 30 gradi centigradi. Si suda da fermi. Ed è la stagione fredda.
Stanza prenotata
con AirBNB, nottata nella media, sveglia presto la mattina: la nostra testa è
ancora nel fuso orario di Melbourne, quattro ore avanti rispetto a Bangkok. La
mattina si presenta con un’aria respirabile, 29 gradi e il cielo parzialmente
coperto. Siamo a 15 chilometri dal centro e sappiamo che con un paio di autobus
possiamo raggiungerlo, l’unico problema è capire quali autobus.
Ne passano
alcuni, un numero e tante lettere in alfabeto thai. Qualcuno ci dirà poi che le
lettere indicano la destinazione. Cerchiamo da qualche parte, qualsiasi parte,
un’indicazione in inglese di dove, cosa, come. Niente.
Cerchiamo di
interloquire con una persona – no zpik inglis – evabbè.
Proviamo con
un’altra e siamo più fortunati. È una ragazza così timida che fa tenerezza, ma
ci fornisce le prime dritte su come muoversi. Impariamo che l’8 è cosa buona e
giusta e, forse, anche qualche altro numero. Ci chiede quanto rimarremo in
Tailandia e, rispondendo “un mese”, spalanca gli occhi e con voce esitante
chiede “ma voi non avete bisogno di lavorare?” … magari… le spiego così della
situazione in Italia, dei due anni in Australia, del livello degli stipendi.
Lei mi spiega che lo stipendio base è di 250 euro mentre lei prende
orgogliosamente 400 euro al mese facendo la commessa un grande shopping center.
Un appartamento
prossimo al centro costa 37000 euro, si mangia per strada per meno di un euro,
i trasporti costano spiccioli.
Ci mettiamo più
di un giorno ad ambientarci. Dobbiamo fare alcune spese prima di partire zaino
in spalla: prima di tutto dobbiamo comprare lo zaino. Ma anche un paio di
ciabatte, pantaloncini e una macchina fotografica per me. Soprattutto l’ultimo
punto ci prende svariato tempo, ma alla fine riesco ad avere quello che voglio
al prezzo che desidero.
I primi giorni è
difficile tutto: nelle zone turistiche tutti masticano un po’ di inglese, ma al
di fuori si parla con la calcolatrice, i gesti, i sorrisi e gli inchini. E
funziona a meraviglia.
Evitiamo i
tuk-tuk (tipico trasporto locale, a Bangkok attivo praticamente solo per i
turisti. Sono dei veicoli a tre ruote adibiti o adattati al trasporto
passeggeri), non ci va di farci fregare. Cerchiamo di evitare anche i taxi, ma
qualche volta soccombiamo alla necessità di riposo e ne chiamiamo uno. Inutile
dire che ci fregano a dovere, ma il danno, una volta convertita la valuta, è
sostenibile.
Bangkok è calda,
umida, piena zeppa di centri commerciali. Per vedere qualcosa di tradizionale
non prendete i tuk-tuk, non prendete un taxi, andate lontano dai luoghi
turistici pieni di tailandesi che non vedono l’ora di spennarvi. A Bangkok la
Tailandia vera è negli autobus scassati coi ventilatori attaccati al tetto, nei
vicoli sporchi con le tettoie di lamiera dov’è ancora possibile guadagnare
splendidi sorrisi sinceri nonostante le insormontabili barriere di
incomunicabilità.
Ma tra tutti i
mezzi di trasporto urbano, il più bello e folkloristico è sicuramente la barca.
Curiosamente le guide turistiche non ne parlano, eppure è convenientissimo,
rapido, con corse molto frequenti e… divertente! Sono barche veloci di
considerevoli dimensioni capaci di ospitare almeno una sessantina ti persone
sedute. Solcano il fiume, sporco tanto quanto il Tevere, spinte da grossi
motori diesel che quanto a regime fanno vibrare tutta l’imbarcazione a mo’ di
massaggio anticellulite. Tutti gli argini sono in cemento armato, come anche le
molteplici infrastrutture che rendono Bangkok la città moderna che è. L’impegno
dello Stato è evidente e spesso supera quello italico. Quando andiamo in
stazione per prendere il treno per la nostra prossima tappa rimaniamo stupiti
nel veder lavare il treno. Da noi fanno fatica a lavare gli Eurostar e i
Frecciarossa, figurarsi l’interregionale.
Rimaniamo qualche
giorno di più nella capitale a causa di qualche mal di pancia, poi, si parte in
terza classe per la prossima città, Ayutthaya.
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