Il 2 dicembre
prendiamo il treno per Ayutthaya, una settantina di chilometri a nord di
Bangkok.
Lasciamo così
questa città calda e umida per andare lontano dai grandi centri commerciali e
dal traffico. Abbiamo preso il biglietto per la terza classe e al binario ci
aspetta un buon vecchio treno diesel con i suoi durissimi sedili. Finestrino
aperto, mi godo l’aria sulla faccia. Il tragitto prende un’ora e quarantacinque
minuti, ma la prima ora passa senza uscire dalla città. Mi aspettavo di essere
catapultato nella giungla ma, al contrario, la città lascia il passo ad una
pianura coltivata a perdita d’occhio.
In città siamo
ovviamente accolti dai tuk-tuk, che prontamente evitiamo con un “no grazie”: la
nostra stanza è relativamente vicina, decidiamo di percorrere il chilometro e
mezzo con gli zaini in spalla.
La città è
piccola, tranquilla, l’aria è già più respirabile e c’è molta più storia da
vedere. Del resto è stata una capitale e ospita le ceneri di grandi monaci e
re, ceneri accuratamente riposte negli stupa,
che qui si chiamano chedi, e che sono
strutture più o meno grandi, da piccolissime a immense, in qualsiasi materiale
ma più comunemente in mattoni ricoperti di stucco ma con un tratto essenziale
in comune: assomigliano tutti a grosse campane poggiate su piramidi a gradoni.
Così, dopo aver
visto una decina di wat (aree
templari) in un giorno, tutti contenenti uno o più chedi (inevitabilmente ribattezzati “campanoni”), ne abbiamo avuto
decisamente abbastanza.
Non rimane quindi
che darsi alla cucina tipica locale.
La cucina tipica
dell’area non si genera nei grandi ristoranti o alla corte dei re; al
contrario, è fortemente radicata nella strada dove chiunque può mettere su
ruote una qualsiasi piastra o griglia o pentola ed iniziare a vendere salsiccette,
pesce fritto, animali di ogni sorta più o meno squartati, fritti e rifritti.
Basta che si muova.
No, dai, in
realtà non mangiano né cane né gatto anzi, questi ultimi sono parecchio amati.
Non ho nemmeno visto topi fritti ma dubito che potrei riconoscerne la carne una
volta avvolta nella pastella… ma gli insetti sì, quelli ci sono. Grilli, locuste
e bachi da seta. Non ne ho visti altri, forse non sono altrettanto gustosi.
Ma c’è una
caratteristica trasversale a tutta la cucina thai: il peperoncino. Tanto
peperoncino. Ovunque. Anche sulla frutta. Non sto scherzando. E a me piace
provare le pietanze secondo il gusto locale! Devo dire che i primi giorni sono
stati un mezzo tormento, ma poi mi sono abituato e ora non ne posso più fare a
meno! È piacevole vedere i tailandesi stupiti del fatto che possa mangiare le
loro stesse cose a colazione, pranzo e cena. Solitamente si fanno delle grasse
risate vedendo i faranghi, gli
stranieri, morire per un pizzico di peperoncino.
Ma non ci sono
solo cibo e wat ad Ayutthaya. C’è
anche ciò che rimane dell’antica cavalleria tailandese: quella a dorso di
elefante. In questa città, tradizionalmente il re veniva a scegliersi il suo
elefante da guerra e sempre qui si addestravano i pachidermi, essenziali per
muoversi rapidamente nella giungla. Con l’arrivo di carri armati ed elicotteri
l’elefante è passato in secondo piano e con lui gli addestratori e le strutture
dell’esercito. Oggi rimane qualche posto per turisti e un centro per elefanti
in pensione.
Noi siamo andati in quest’ultimo e siamo stati stupiti nel vedere anche dei cuccioli che scorrazzavano relativamente liberi. In particolare un cucciolo di una ventina di settimane mi aveva preso di mira (forse perché ero l’unico a non scappare?) e non la smetteva di spingermi con la proboscide! C’era anche un elefantino di una settimana e ovviamente si prendeva tutte le attenzioni di donne e bambini.
Noi siamo andati in quest’ultimo e siamo stati stupiti nel vedere anche dei cuccioli che scorrazzavano relativamente liberi. In particolare un cucciolo di una ventina di settimane mi aveva preso di mira (forse perché ero l’unico a non scappare?) e non la smetteva di spingermi con la proboscide! C’era anche un elefantino di una settimana e ovviamente si prendeva tutte le attenzioni di donne e bambini.
Ci siamo spostati
in bicicletta e, al contrario di quanto ci aspettassimo, i locali hanno avuto
molta attenzione nel guidarci accanto senza fare mai niente di azzardato.
Finite le
attrazioni del posto decidiamo di proseguire il viaggio verso nord, ma arrivare
a Chiang Mai con un solo treno prenderebbe dieci ore. Abbiamo tempo, vogliamo
rilassarci, così optiamo per spezzare la tratta in centro, a Phitsanulok. Città
totalmente non turistica, ha prezzi bassissimi e nessuna attrazione, ma la
gente si rivela finalmente autentica. Troviamo una stanza in una guest house per appena 100 baht a notte,
un massaggio di un’ora ai pedi a 120 baht, cena per 50 baht. Tutto ha prezzi
thai per gente thai… verrebbe voglia di rimanere di più, ma ci aspetta il treno
per Chiang Mai, la capitale del nord.