È tanto che non
scrivo. Forse più di un mese. Ogni domenica pensavo “devo scrivere qualcosa”,
ma nonostante tutto l’impegno e la volontà non c’era modo di trovare il tempo
per buttare giù qualche riga. Il problema è che dall’ultima volta sono successe
troppe cose!
L’ultima volta
che ho scritto era il 3 dicembre, giravamo in una Mercedes del 1982, vivevamo a
casa di Mark mentre la ristrutturavamo. Vi avevo detto che desideravamo
comprare un furgoncino in modo da poterci muovere liberamente sul territorio…
Si avvicinava il
giorno di Natale e dalla vineria nessuno ci aveva detto se ci sarebbe stato
bisogno di noi anche dopo le feste. Io intanto ero passato dal dipartimento di
imbottigliamento e inscatolamento a quello di vineria, cambiando manager
(Chris) e occupandomi di rabboccare le botti di quercia piene di buoni vini
rossi…
Caso volle che
prima di cambiare di mansione facessi un ultimo, estenuante giorno di lavoro
nella “fast line” di imbottigliamento: quattro bottiglie al secondo.
Essendo rotta
l’inscatolatrice, era mansione umana il mettere i vuoti da un lato del
macchinario per poi prendere le bottiglie piene dall’altro lato, posizionandole
nel bin. Inizio la mattinata mettendo i vuoti sul nastro trasportatore: prima
quattro alla volta, stando a fatica dietro alla macchina, poi sei e, infine,
addirittura otto bottiglie contemporaneamente. Raggiunto così lo stadio di
illuminazione massima consentita per questo dato ruolo, avevo addirittura tempo
per andare al bagno e tornare, scrivere un messaggio, apprezzare i passerotti e
il danzare delle foglie nel vento…
Ma era il tempo
di fare a cambio con il “poraccio” che stava a mettere le bottiglie nel bin.
Sgargiullo trotterello verso il bin, afferro quattro bottiglie alla volta e le
posiziono. Fresco fresco mi sono messo a competere con la macchina per vedere
se riuscivo ad andare a un ritmo più veloce. Un attimo di tempo per abituarmi
alla nuova mansione ed ecco che mi trovavo ad aspettare le bottiglie invece di
corrergli dietro. Passa un’ora, ne passano due… pausa caffè. L’acido lattico
inizia a salire durante i 15 minuti di relax, ma riesco a scioglierlo
egregiamente con la prima mezz’ora di lavoro. Arrivo alla pausa pranzo sudato,
ma ancora vivo.
Galeotta fu la
pausa e lo panino!
stanchezza mi
colse sì violenta
che rimpiangeo di
esser nato homo!
Dopo pranzo di
ricomincia. La macchina continua a sfornare le sue quattro bottiglie al
secondo, per niente stanca del lavoro fatto in precedenza. Il nastro
trasportatore senza pietà le accumula di fronte al bin mentre io, sempre più
lento, mi accorgo di non avere più risorse per tenere il passo. Alle due e
mezza la macchina mi manda l’ultima bottiglia mentre io esalo l’ultimo respiro.
Sguardo vuoto da tossicodipendente, mi tengo ancora in posizione eretta più per
rigor mortis che per mia volontà. Finisco la giornata e stramazzo riccamente a
letto dopo essermi tartinato i muscoli di crema al mentolo.
Il giorno dopo,
con mio enorme piacere e infinita gratitudine, vengo spostato di dipartimento.
Mi trovavo ad arrampicarmi tra le botti per rabboccarle con vino e solfiti in
giusta percentuale che, ecco, trovandomi in postura non proprio naturale con la
caraffa in mano, impossibilitato a cambiare posizione, un crampo mi colse
dietro la scapola sinistra. In capo a mezz’ora la contrattura stava
conquistando a nord le regioni della spalla e del collo mentre a sud i muscoli
del tronco combattevano fieramente contro l’avanzare dell’armata oscura di
Crampo. Ma Crampo conosceva bene il territorio e, utilizzando armi chimiche
(Acido Lattico), fece tabula rasa di tutto il lato sinistro. La mattina
seguente erano caduti in mano nemica tutti i territori del sud fino al
polpaccio. Crampo cantava vittoria obbligandomi a camminare in stile
Frankenstein, con un sorriso più paralizzato di quello della Loren dopo le
iniezioni di botulino, il collo che faceva a gara con la Thatcher a chi era più
rigido. A nulla valsero massaggi e scrocchiamenti: la situazione rimaneva saldamente
nelle mani di Crampo.
Finché, su
consiglio di Santa Amélie, mi sono messo sotto la giurisdizione del
potentissimo Naprossene Sodico. La battaglia imperversò feroce per due giorni,
con Crampo che si era trincerato nello stretto del collo sfruttando l’alleanza stabilita
tra due vertebre dissidenti (Atlante ed Epistrofeo). Infine Naprossene vinse la
battaglia, restituendomi il corpo con la sua naturale motilità.
Un giorno prima
che smettessimo di lavorare per iniziare il periodo di vacanza, ci viene
chiesto se vogliamo tornare dopo le feste per continuare a lavorare.
Ma, nel mentre,
qualcos’altro era successo.
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