Martedì,
per me primo giorno di lavoro della settimana. Entro in cucina aspettandomi
sguardi diversi...
E invece
Sunny è sorridente, come sempre. Natasha un po' meno.
Appena Franco esce scambiamo qualche parola: hanno ben compreso tutta la situazione, e
in realtà sono contenti di non essersi imbarcati in un'impresa fallimentare. Ma
Sunny sorride più del solito.
"Cos'hai"
gli chiedo.
"Ho
un altro progetto!" mi risponde strizzandomi l'occhio ma, per quanto provi
a domandare è determinato a non dirmi niente. Spero vivamente per lui che
riesca ad andarsene presto dalla cucina per fare quello che ama.
Ma ecco
che mi ritrovo in cucina un nuovo membro: la figlia del capo.
Penso
che in ogni business la cosa peggiore che si possa incontrare sia un
intoccabile, ovvero una persona dalla comprovata incompetenza che però vanta
fortissimi legami con la leadership.
I
secondi, i minuti, le ore e i giorni mi hanno ampiamente dimostrato quanto
queste persone siano dannose alla salute di tutti: Franco ha un figlio, una
figlia e una moglie. Franco, per quanto sia una persona che non ammiri, sa fare
il suo lavoro. Si vede che è stato in cucina da sempre. Il
resto della famiglio, no.
Mi
lamentavo del fatto che moglie e figlio mi lasciassero i piatti sporchi nei luoghi
più irraggiungibili, costringendomi a mirabolanti acrobazie per farli tornare
in catena di lavaggio. Non contenti, si rifiutano di togliere il grosso, altro
lavoro che per forza di cose devo fare io.
Ma
ancora non avevo visto la figlia.
La
figlia, della quale il mio cervello si rifiuta categoricamente di memorizzare
l'astruso nome, riesce a stare sempre dove non deve stare, intralciando
pesantemente il flusso di lavoro di tutti i componenti della ciurma. Eccola che
fa le polpette di baccalà: decide di farle nel posto in cui io poggio i piatti
puliti che torneranno in sala; ha usato TUTTE le ciotole metalliche, mandando
in disperazione Natasha che ne brama una da mezz'ore infinite; intorno a lei
una dispersione di briciole di pan grattato per un raggio di un metro dalla
fonte, manco fosse una mina antiuomo. Musica nelle orecchie, sculetta col suo
deretano per nulla grazioso, riuscendo a turbare il mio innato senso estetico,
tanto che mi si stampa in faccia un'ormai irrecuperabile espressione di disgusto.
Vorrei abbandonarmi al turpiloquio, ma non ho tempo, visto che arriva una
valanga di piatti e pentole da lavare... E lei cosa fa? Decide di lavarsi le
mani in quel momento. Lasciando il bancone ancora occupato. Nel MIO lavandino.
Placida si lava le mani con lentezza estenuante, mentre in pochi istanti si
accumula una piramide di piatti alla mia destra. Esasperato guardo
ossessivamente lei, le sue mani, il lavandino, i piatti +1, loop, in una
funzione "if than else" con clock parecchio spinto (per mia mamma che
non è informatizzata: la funzione "if than else" proviene dal
linguaggio di programmazione -in questo caso il Pascal- e consiste nel ripetere
una determinata operazione finché non si verifichi un determinato evento... In
questo caso la Tizia in questione che si levasse dalle... lavandino. Il clock
determina la frequenza con cui questa funzione viene ripetuta) ... (sì, mia
madre può capire queste cose: siatene gelosi. Tutti).
Insomma,
finalmente si toglie dal lavandino e posso attaccare di petto la graziosa
piramide di piatti sporchi, a cui si sono aggiunti alcuni piatti non svuotati
portati dal resto del parentame. Dentro di me arde il fuoco della guerra, mi
trasformo in supersayan di secondo livello e alla velocità del suono abbatto il
lavoro accumulato. Sunny mi fa i complimenti per i bei capelli, poi guarda le
mie mani e con occhi sgranati mi dice "ma sei velocissimo!". Poi mi
racconta che il ragazzo che è venuto sabato e domenica poco ci mancava che
veniva seppellito dalle pentole: a fine serata accanto a lui si era formata una
torre alta ben un metro e mezzo!
Godo
profondamente della vittoria.
Intanto
Sunny va a finire il lavoro incompiuto di Tizia, che ora sta intralciando le
operazioni di Natasha. Finalmente finisce l'ora di punta, ed ecco che Tizia
freme per andarsene; se se ne andasse semplicemente sarebbe cosa buona e
giusta, ma lei no!, vuole per forza far vedere a papà che si guadagna la
paghetta! Così chiede al povero Sunny cosa possa fare. Sunny le da un compito
semplicissimo: riempire il dispenser con il misto maionese - aceto balsamico.
La ragazza diligentemente ci mette mezz'ora per eseguire codesta banalità, e
lascia la bottiglia, aperta, in mezzo al bancone.
Franco entra, passa un vassoio a Natasha, la quale per evitare Tizia devia la traiettoria
del suo braccio. Il vassoio urta la bottiglia da poco finita di riempire e il
contenuto schizza ovunque e cola tra i due piani da lavoro d'acciaio. Dopo un
intero quarto d'ora di bestemmie e parolacce, contro la povera Natasha, Franco
chiede perché tale boccia fosse in tale posto a tale ora. Tizia, vigliacca:
"me lo ha detto Sunny"... Altro quarto d'ora censurabile anche per un
pubblico maturo.
Io
intanto silenzioso lavo i piatti. Sono l'unico che non viene mai rimproverato.
Ci credo... per tutta la vita sono andato contro la disciplina paterna, ma è
indubbiamente rimasta tatuata nel mio comportamento: "se non vuoi essere
rimproverato, fai le cose in modo da non essere rimproverato"... già.
Mercoledì
Sunny arriva con un mal di collo impressionante, semi paralizzato da un lato,
incapace di girare la testa a sinistra. È palese che gli si sia accavallato
qualcosa, ma è divertente sapere come: con uno starnuto! Rimarreste certo
stupiti, se non scioccati, da quanto male possano infliggerci gli starnuti...
In ogni
caso, il malcapitato continua a lavorare con tutta la forza che ha in corpo
manifestando con alcune smorfie il dolore represso. A metà giornata succede il
fattaccio: si bruciano i funghi nel forno. È Sunny stesso che se ne accorge, e
li tira fuori scuotendo la testa sapendo quello che sarebbe seguito. Arriva
Tizia, guarda i funghi, guarda Sunny; arriva il padre, ignaro della situazione.
Tizia:
"Papà? Si sono bruciati i funghi".
Attimo
di silenzio.
Franco si
avvicina alla teglia, annusa,
assaggia.
Quello che succede
nella mezz'ora successiva non è altro che un susseguirsi dei soliti ingredienti, col povero
Sunny che non sapeva più come manifestare il suo dispiacere. Dentro di me
ribollivo per gli insulti che il povero ragazzo si stava prendendo e stavo
valutando l’ipotesi di sbroccare con discreta violenza contro la profonda
ingiustizia a cui stavo assistendo. Una decina di minuti di calma, in cui i
miei nervi si distendono un poco, poi entra la moglie di Franco. Franco
ricomincia la solfa e la moglie rincara la dose con i “ma non è possibile”, “ma
come hai fatto”, “ma che disastro”...
Non riuscendo a sopportare la situazione, vigliaccamente esco per buttare la
spazzatura. Nel tragitto esprimo il mio malumore con la cameriera la quale
concorda con me. Rientro. Mi metto al lavandino. Franco accanto.
“Sai Franco?”
“Um”
“Sunny
stamattina non riesce a muoversi: ha il collo paralizzato, non riesce a muovere
bene un braccio e una spalla e, nonostante questo, sta lavorando come uno
schiavo per tirare avanti tutta la cucina.”
“Ma
veramente?”
“Già”
Si gira
verso Sunny, parla con lui scherzando come un deficiente, poi si gira di nuovo
verso il lavandino. Sunny mi sorride, anche con gli occhi, mentre continua il
suo lavoro.
Fratellanza.
Quante
volte siamo testimoni di ingiustizie e rimaniamo in silenzio? Secondo me
troppe. Ho cambiato paese per dissenso, e non rimarrò in silenzio nel paese
straniero. Troppe volte sono rimasto in silenzio e ancora il rimorso mi
rimprovera. Questa volta sono riuscito a trovare una maniera elegante per
difendere il più debole senza passare dalla parte del torto.
La
giornata continua con la solita Tizia che intralcia in continuo o poco più.
Ancora una volta devo rimanere per una mezz’oretta in più per recuperare il
tempo che mi è stato fatto perdere.
Giovedì
la giornata inizia discretamente e tutto va bene fino alle 9:00, momento in cui Tizia entra in campo. Ma questa volta c’è qualcosa di differente. Già dal
giorno prima avevo notato che ogni tanto mi fissava. Non capendone il motivo,
la ignoro e continuo il mio lavoro.
Durante
il giorno mi intralcia, in continuo. Noto che il tempo che impiega per lavarsi
le ditine nel mio lavandino si
dilata... se le lava, mi guarda, e lentamente
se ne va. I miei nervi decisamente non gradiscono il trattamento. Durante le
ore che lentissimamente scorrono, matura in me l’idea di mandarla al diavolo.
Ma no, non lei sola; meglio chiudere questa storia con l’intera famiglia.
Arroganza e inettitudine si intrecciano spesso in persone dallo scarso valore
intrinseco, forse per compensare la loro pochezza.
Pulisco
con dovizia le teglie, in modo che fino all’ultimo secondo il mio lavoro sia
impeccabile. Stufo di non essere in regola, stufo di non avere nemmeno un
minuto di pausa nelle otto ore di lavoro, stufo di sentire i suoi inutili
discorsi, stufo di essere pagato il minimo possibile, stufo di non essere
pagato per gli straordinari. Stufo.
È
semplicemente arrivato il momento di chiudere questa esperienza, ma con
dignità. Non passerà comunque molto prima che trovi un lavoro simile o
migliore.
Prolungo
la mia permanenza sempre per il solito motivo e, alla fine, comunico la mia
decisione a Franco. Con tranquillità gli dico che preferisco andarmene per
cercare di meglio, dandogli una settimana del mio tempo per trovare un’altra
persona.
Rimane
di stucco.
Prima
cerca di comprarmi offrendomi un aumento (ma guardandosi bene dallo
specificarne l’entità), poi cerca di farmi rammaricare di aver lasciato,
millantando di potermi offrire una sponsorship perché lui conosce gente
importante, perché lui ha i soldi (impossibile una sponsorship per una classe
lavorativa che non è la propria). Infine, esaurito dall’impossibilità di
convincermi inizia a minacciarmi con frasi “tanto so dove abiti” o “ti sei
fregato con le mani tue”...
Rimango
basito.
Poi
esagera, dicendo che non mi avrebbe pagato finché non avrebbe trovato un
sostituto, altrimenti, secondo lui, prendevo i soldi e non mi facevo più
vedere.
Sì,
esagera.
Non per i soldi, ma perché mette in
dubbio la mia parola. Con faccia torva lo guardo dritto negli occhi e gli dico:
"Non provare a mettere in dubbio la mia parola. Non te lo permetto. Hai
visto come lavoro, e lo sai che lavoro bene. Ti ho detto che ti avrei dato un
preavviso, e ti ho dato un preavviso. Tu martedì mi darai i miei soldi come
stabilito".
Lo zittisco.
Certo non si aspettava una reazione del genere.
Esco a testa alta.
La
rabbia mi fa pedalare con energia mai provata prima. Una macchina mi si mette
addirittua accanto per misurare la velocità a cui vado. Arrivo alla fine del
tragitto con il cuore che mi scoppia; dentro la testa rimbombano ancora le
frottole del saltimbanco.
Che
fastidio.
Mentre
aspetto il treno mi arriva un'email riguardante un colloquio per il giorno
successivo. Sorrido.
Sì, non
passerà molto prima di trovare un lavoro uguale o migliore!
Ma
stavolta solo lavori in regola.