lunedì 25 febbraio 2013

Buchi nell'acqua e amenità similari

Il primo Opossum visto da Amélie
e fotografato con successo!
Lunedì sera, appena reso pubblico il post della settimana, esco per incontrarmi con Sunny alla stazione. Arriva con un amico, entrambi col tipico turbante indiano in testa. Scopro che l'amico è anche coinquilino ed era la persona che aveva preso il mio posto per il sabato e la domenica. Si chiacchiera di Franco, di quello che succede, di quello che si farà. Aggiorno Sunny con nuove offerte di lavoro e mi offro come referente, visto che non ha niente che provi il suo lavoro come cuoco. Non è preoccupato per il suo futuro e mi spiega perché: ha preso una licenza da tassista e fa il tassista notturno! Ecco quale era il suo progetto! Quel diavolo di un indiano sfodera risorse come un prestigiatore, scatenando sorpresa e ammirazione! Sta anche prendendo una seconda laurea in management per il settore ristorazione e ospitalità!
È pronto a lasciare Franco appena fa una mossa falsa. Lo aveva già fatto tre mesi prima, costringendo il proprietario a un'inaspettata chiusura. E lo rifarà presto.

Martedì lo passo insieme alla mia dolce metà a spargere CV, pratica ormai usuale anche se mai indolore: pare che il mio cervello dimentichi facilissimamente tutto ciò che non gli va di imparare. Il pomeriggio è tempo di riscossione: andare al ristorante per prelevare i miei sudato 360 dollari. Date le minacce, vere o false che potessero essere, chiedo a mio cugino Alex di accompagnarmi.
Alex non è il tipo di persona che vorresti incontrare quando sei da solo in un posto poco frequentato: nonostante sia una persona dal comportamento ineccepibile e con un grande cuore, un buono dotato di uno spiccato senso di giustizia, il suo aspetto può facilmente generare soggezione. Curiosamente in tenuta da ufficio (camicia, pantalone e scarpe eleganti) la situazione non migliora, anzi.
Insomma, ci dirigiamo al locale, entro, Alex segue. Franco prima sorride beffardamente, poi vede il cugino e sgrana gli occhi.
Alex: "Tutto a posto?"
Franco solleva le sopracciglia e in una smorfia equivalente al "cosa cavolo sta succedendo" annuisce senza proferir parola.
Esco coi miei soldi in mano mentre sghignazzo per la paura che si è presa quella poco amabile personcina. Un'altra ombra che ora appartiene al passato.

Mercoledì sono in prova per un nuovo lavoro: riparare i cellulari. La faccenda mi entusiasma, dato che lo faccio per hobby da tantissimo tempo: amo la tecnologia, ma quella che piace a me costa sempre troppo. Così ho imparato a comprare cose rotte che possa riparare a un costo contenuto, per poi giocarci per un po' e rivenderle a prezzo onesto quando sono stufo.
Entro in questo chiosco nel bel mezzo di un corridoio del centro commerciale di Chadstone con le migliori intenzioni, felice di mettere le mani su un po'  l'elettronica di ultima generazione. Il capo, un turco, decide però che il mio ruolo è come commesso... E capisco perché: la graziosa vietnamita che ricopre tale ruolo ha un ottimo sorriso, ma un pessimo inglese (anche se a tratti comprensibile). L'altro vietnamita invece è drammatico: nessun suono fuoriuscente dalla sua bocca genera in me un significato. Il manager comanda alla ragazza di istruirmi su ciò che c'è da fare... Una parola... Comunichiamo a gesti e movimenti, io faccio ampio utilizzo dei neuroni specchio, comprendendo a malapena il significato di ciò che faccio.
Poi rimango fermo...
Orrore! Vietato rimanere fermi! La becera logica del datore di lavoro prevede che una persona ferma equivalga a uno spreco di soldi. Questo è vero quando si lavora in fabbrica, ma in un chioschetto di tre metri per tre (di perimetro esterno) diventa ostico stare tutti a fare qualcosa. La ragazza si mette a ordinare con la sua logica, che io fallisco di comprendere, e io rimango come un truciolo a sorridere ai passanti. Vengo ovviamente rimproverato per inattività e mi viene detto di ordinare il negozio. Negozio, che parolone. In realtà lo spazio interno è poco più grande di tre metri quadrati... e tutto è ovunque, senza una logica. Ogni tanto il capo parla, ma manca di dire il soggetto della frase. Per non apparire stupido alla sua costante richiesta: “hai capito?”, rispondo: “sì, certo”... ma in realtà non capisco: intuisco a malapena. Insomma, dopo due ore di questo strazio, deluso dall’assenza di contatto con l’amata tecnologia, esprimo la mia delusione e stringo per l’ultima volta la mano al turco, rimanendo con la faccia perplessa per il resto della giornata.

Venerdì mattina mi chiamano per un colloquio. Capisco perfettamente tutto quello che mi viene detto tranne ... il nome del locale che mi sta chiamando. Glielo chiedo, glielo richiedo, niente. Il nome non corrisponde a nessuno che conosca. Capisco però il luogo: Melbourne Uni, Union House. Ottimo. Ho dato il curriculum solo a due locali in quel posto!
Così stamattina baldanzoso vado per questo benedetto colloquio.
Chiedo a una delle due attività... niente. 
Così chiedo all’altra... niente.
Provo a richiamare il numero di chi mi aveva contattato... niente.

Carlton Gardens, proprio dietro il
Melbourne Museum.
Perplesso, sono rimasto a poca distanza a guardare i due negozi ponendomi domande non troppo difficili, ma senza ricevere l’ombra di un’illuminante risposta.

Un buon panino all’università con Amélie e Eleonora mi ha aiutato a superare il tremendo trauma... di essere rimasto tutto il pomeriggio a godermi il sole, l’aria, la tranquillità.

Intanto intesso contatti per lavori più remunerativi, fuori dal campo della ristorazione. C’è sempre tempo per trovare lavoro in quel settore.

lunedì 18 febbraio 2013

A testa alta


Martedì, per me primo giorno di lavoro della settimana. Entro in cucina aspettandomi sguardi diversi...
E invece Sunny è sorridente, come sempre. Natasha un po' meno.
Appena Franco esce scambiamo qualche parola: hanno ben compreso tutta la situazione, e in realtà sono contenti di non essersi imbarcati in un'impresa fallimentare. Ma Sunny sorride più del solito.
"Cos'hai" gli chiedo.
"Ho un altro progetto!" mi risponde strizzandomi l'occhio ma, per quanto provi a domandare è determinato a non dirmi niente. Spero vivamente per lui che riesca ad andarsene presto dalla cucina per fare quello che ama.
Ma ecco che mi ritrovo in cucina un nuovo membro: la figlia del capo.

Penso che in ogni business la cosa peggiore che si possa incontrare sia un intoccabile, ovvero una persona dalla comprovata incompetenza che però vanta fortissimi legami con la leadership. 
I secondi, i minuti, le ore e i giorni mi hanno ampiamente dimostrato quanto queste persone siano dannose alla salute di tutti: Franco ha un figlio, una figlia e una moglie. Franco, per quanto sia una persona che non ammiri, sa fare il suo lavoro. Si vede che è stato in cucina da sempre. Il resto della famiglio, no.
Mi lamentavo del fatto che moglie e figlio mi lasciassero i piatti sporchi nei luoghi più irraggiungibili, costringendomi a mirabolanti acrobazie per farli tornare in catena di lavaggio. Non contenti, si rifiutano di togliere il grosso, altro lavoro che per forza di cose devo fare io. 

Ma ancora non avevo visto la figlia. 

La figlia, della quale il mio cervello si rifiuta categoricamente di memorizzare l'astruso nome, riesce a stare sempre dove non deve stare, intralciando pesantemente il flusso di lavoro di tutti i componenti della ciurma. Eccola che fa le polpette di baccalà: decide di farle nel posto in cui io poggio i piatti puliti che torneranno in sala; ha usato TUTTE le ciotole metalliche, mandando in disperazione Natasha che ne brama una da mezz'ore infinite; intorno a lei una dispersione di briciole di pan grattato per un raggio di un metro dalla fonte, manco fosse una mina antiuomo. Musica nelle orecchie, sculetta col suo deretano per nulla grazioso, riuscendo a turbare il mio innato senso estetico, tanto che mi si stampa in faccia un'ormai irrecuperabile espressione di disgusto. Vorrei abbandonarmi al turpiloquio, ma non ho tempo, visto che arriva una valanga di piatti e pentole da lavare... E lei cosa fa? Decide di lavarsi le mani in quel momento. Lasciando il bancone ancora occupato. Nel MIO lavandino. Placida si lava le mani con lentezza estenuante, mentre in pochi istanti si accumula una piramide di piatti alla mia destra. Esasperato guardo ossessivamente lei, le sue mani, il lavandino, i piatti +1, loop, in una funzione "if than else" con clock parecchio spinto (per mia mamma che non è informatizzata: la funzione "if than else" proviene dal linguaggio di programmazione -in questo caso il Pascal- e consiste nel ripetere una determinata operazione finché non si verifichi un determinato evento... In questo caso la Tizia in questione che si levasse dalle... lavandino. Il clock determina la frequenza con cui questa funzione viene ripetuta) ... (sì, mia madre può capire queste cose: siatene gelosi. Tutti).
Insomma, finalmente si toglie dal lavandino e posso attaccare di petto la graziosa piramide di piatti sporchi, a cui si sono aggiunti alcuni piatti non svuotati portati dal resto del parentame. Dentro di me arde il fuoco della guerra, mi trasformo in supersayan di secondo livello e alla velocità del suono abbatto il lavoro accumulato. Sunny mi fa i complimenti per i bei capelli, poi guarda le mie mani e con occhi sgranati mi dice "ma sei velocissimo!". Poi mi racconta che il ragazzo che è venuto sabato e domenica poco ci mancava che veniva seppellito dalle pentole: a fine serata accanto a lui si era formata una torre alta ben un metro e mezzo! 

Godo profondamente della vittoria.

Intanto Sunny va a finire il lavoro incompiuto di Tizia, che ora sta intralciando le operazioni di Natasha. Finalmente finisce l'ora di punta, ed ecco che Tizia freme per andarsene; se se ne andasse semplicemente sarebbe cosa buona e giusta, ma lei no!, vuole per forza far vedere a papà che si guadagna la paghetta! Così chiede al povero Sunny cosa possa fare. Sunny le da un compito semplicissimo: riempire il dispenser con il misto maionese - aceto balsamico. La ragazza diligentemente ci mette mezz'ora per eseguire codesta banalità, e lascia la bottiglia, aperta, in mezzo al bancone.
Franco entra, passa un vassoio a Natasha, la quale per evitare Tizia devia la traiettoria del suo braccio. Il vassoio urta la bottiglia da poco finita di riempire e il contenuto schizza ovunque e cola tra i due piani da lavoro d'acciaio. Dopo un intero quarto d'ora di bestemmie e parolacce, contro la povera Natasha, Franco chiede perché tale boccia fosse in tale posto a tale ora. Tizia, vigliacca: "me lo ha detto Sunny"... Altro quarto d'ora censurabile anche per un pubblico maturo.
Io intanto silenzioso lavo i piatti. Sono l'unico che non viene mai rimproverato. Ci credo... per tutta la vita sono andato contro la disciplina paterna, ma è indubbiamente rimasta tatuata nel mio comportamento: "se non vuoi essere rimproverato, fai le cose in modo da non essere rimproverato"... già.
Mercoledì Sunny arriva con un mal di collo impressionante, semi paralizzato da un lato, incapace di girare la testa a sinistra. È palese che gli si sia accavallato qualcosa, ma è divertente sapere come: con uno starnuto! Rimarreste certo stupiti, se non scioccati, da quanto male possano infliggerci gli starnuti...
In ogni caso, il malcapitato continua a lavorare con tutta la forza che ha in corpo manifestando con alcune smorfie il dolore represso. A metà giornata succede il fattaccio: si bruciano i funghi nel forno. È Sunny stesso che se ne accorge, e li tira fuori scuotendo la testa sapendo quello che sarebbe seguito. Arriva Tizia, guarda i funghi, guarda Sunny; arriva il padre, ignaro della situazione.
Tizia: "Papà? Si sono bruciati i funghi".

Attimo di silenzio.

Franco si avvicina alla teglia, annusa, assaggia.
Quello che succede nella mezz'ora successiva non è altro che un susseguirsi dei soliti ingredienti, col povero Sunny che non sapeva più come manifestare il suo dispiacere. Dentro di me ribollivo per gli insulti che il povero ragazzo si stava prendendo e stavo valutando l’ipotesi di sbroccare con discreta violenza contro la profonda ingiustizia a cui stavo assistendo. Una decina di minuti di calma, in cui i miei nervi si distendono un poco, poi entra la moglie di Franco. Franco ricomincia la solfa e la moglie rincara la dose con i “ma non è possibile”, “ma come hai fatto”, “ma che disastro”...
Non riuscendo a sopportare la situazione, vigliaccamente esco per buttare la spazzatura. Nel tragitto esprimo il mio malumore con la cameriera la quale concorda con me. Rientro. Mi metto al lavandino. Franco accanto.
“Sai Franco?”
“Um”
“Sunny stamattina non riesce a muoversi: ha il collo paralizzato, non riesce a muovere bene un braccio e una spalla e, nonostante questo, sta lavorando come uno schiavo per tirare avanti tutta la cucina.”
“Ma veramente?”
“Già”
Si gira verso Sunny, parla con lui scherzando come un deficiente, poi si gira di nuovo verso il lavandino. Sunny mi sorride, anche con gli occhi, mentre continua il suo lavoro.
Fratellanza.

Quante volte siamo testimoni di ingiustizie e rimaniamo in silenzio? Secondo me troppe. Ho cambiato paese per dissenso, e non rimarrò in silenzio nel paese straniero. Troppe volte sono rimasto in silenzio e ancora il rimorso mi rimprovera. Questa volta sono riuscito a trovare una maniera elegante per difendere il più debole senza passare dalla parte del torto.
La giornata continua con la solita Tizia che intralcia in continuo o poco più. Ancora una volta devo rimanere per una mezz’oretta in più per recuperare il tempo che mi è stato fatto perdere.

Giovedì la giornata inizia discretamente e tutto va bene fino alle 9:00, momento in cui Tizia entra in campo. Ma questa volta c’è qualcosa di differente. Già dal giorno prima avevo notato che ogni tanto mi fissava. Non capendone il motivo, la ignoro e continuo il mio lavoro.
Durante il giorno mi intralcia, in continuo. Noto che il tempo che impiega per lavarsi le ditine nel mio lavandino si dilata... se le lava, mi guarda, e lentamente se ne va. I miei nervi decisamente non gradiscono il trattamento. Durante le ore che lentissimamente scorrono, matura in me l’idea di mandarla al diavolo. Ma no, non lei sola; meglio chiudere questa storia con l’intera famiglia. Arroganza e inettitudine si intrecciano spesso in persone dallo scarso valore intrinseco, forse per compensare la loro pochezza.
Pulisco con dovizia le teglie, in modo che fino all’ultimo secondo il mio lavoro sia impeccabile. Stufo di non essere in regola, stufo di non avere nemmeno un minuto di pausa nelle otto ore di lavoro, stufo di sentire i suoi inutili discorsi, stufo di essere pagato il minimo possibile, stufo di non essere pagato per gli straordinari. Stufo.
È semplicemente arrivato il momento di chiudere questa esperienza, ma con dignità. Non passerà comunque molto prima che trovi un lavoro simile o migliore.

Prolungo la mia permanenza sempre per il solito motivo e, alla fine, comunico la mia decisione a Franco. Con tranquillità gli dico che preferisco andarmene per cercare di meglio, dandogli una settimana del mio tempo per trovare un’altra persona.
Rimane di stucco.

Prima cerca di comprarmi offrendomi un aumento (ma guardandosi bene dallo specificarne l’entità), poi cerca di farmi rammaricare di aver lasciato, millantando di potermi offrire una sponsorship perché lui conosce gente importante, perché lui ha i soldi (impossibile una sponsorship per una classe lavorativa che non è la propria). Infine, esaurito dall’impossibilità di convincermi inizia a minacciarmi con frasi “tanto so dove abiti” o “ti sei fregato con le mani tue”...

Rimango basito.

Poi esagera, dicendo che non mi avrebbe pagato finché non avrebbe trovato un sostituto, altrimenti, secondo lui, prendevo i soldi e non mi facevo più vedere.
Sì, esagera.
Non per i soldi, ma perché mette in dubbio la mia parola. Con faccia torva lo guardo dritto negli occhi e gli dico: "Non provare a mettere in dubbio la mia parola. Non te lo permetto. Hai visto come lavoro, e lo sai che lavoro bene. Ti ho detto che ti avrei dato un preavviso, e ti ho dato un preavviso. Tu martedì mi darai i miei soldi come stabilito".

Lo zittisco. Certo non si aspettava una reazione del genere. 
Esco a testa alta.
La rabbia mi fa pedalare con energia mai provata prima. Una macchina mi si mette addirittua accanto per misurare la velocità a cui vado. Arrivo alla fine del tragitto con il cuore che mi scoppia; dentro la testa rimbombano ancora le frottole del saltimbanco.
Che fastidio.

Mentre aspetto il treno mi arriva un'email riguardante un colloquio per il giorno successivo. Sorrido.
Sì, non passerà molto prima di trovare un lavoro uguale o migliore!
Ma stavolta solo lavori in regola.

lunedì 11 febbraio 2013

Variabili Impazzite

Si continua a lavar piatti in quel di Melbourne: anche se le mani chiedono pietà, paga. E ammetto che ci trovo del divertimento. Non nel lavar piatti, ma nella compagnia del nuovo cuoco: Sunny. La settimana scorsa il cuoco di origini calabresi è stato malamente licenziato, con corredo di bestemmie e parolacce da parte di Franco, perché non faceva le cose esattamente come piacevano al boss. Io ho assaggiato quello che faceva Pasquale, ed era buono, parecchio buono! Ma Franco ha deciso che non gli andava. Per immensa fortuna del sopracitato, Sunny è tornato dalla sua festa di fidanzamento in India. Magro come un chiodo, poco più alto di me, sempre sorridente e cordiale, fa tutto il suo dovere a velocità supersonica e trova anche il tempo per aiutare gli altri... Uno spettacolo. Passano i giorni e si inizia a parlare: ha 26 anni, laureato in ingegneria contro voglia, ma era il suo passaporto per andarsene dall'India; finito in cucina perché non sapeva cosa fare, diventato chef di cucina italiana per caso, con risultati impressionanti. A lui non piace la cucina italiana. Preferisce quella di casa sua, ovviamente. Non ha mai mangiato un piatto di pasta, ma dovreste sentire cosa è capace di cucinare! Fa della roba favolosa!
In realtà a lui non piace nemmeno cucinare... Semplicemente, non sa cosa fare della sua vita. Fa il cuoco mentre aspetta di avere un colpo di genio.

Mi sono rispecchiato in lui. 
Come me non vuole sopravvivere: vuole vivere.
Ma la differenza tra le due è indubbiamente nel lavoro che si sceglie: sulle 24 ore, ne passiamo 8 a dormire, 8 a lavorare, 1-3 in spostamenti, un'oretta a mangiare e il resto del tempo sminuzzato in mille altre attività, alcune molto piacevoli altre molto meno. Ovviamente saranno le 8 ore lavorative a fare la differenza sulla qualità della propria vita. Tocca lavorare, è una necessità, è una trappola che non si può evitare... E se proprio bisogna entrare in una trappola, tanto vale sceglierne una in cui si sta veramente comodi.
Nella conversazione si inserisce presto anche l'aiuto cuoca: Natasha. Lei è del Sud Africa, occhi verdi, carnagione chiara, decisamente di origini europee. Come Sunny è in Australia da cinque anni, e come lui è infelice. Si ammazza letteralmente di lavoro per non pensare. A cosa, vi chiederete... Al fatto di stare in un posto così lontano da casa sua, dai suoi amici, da suo padre, dai luoghi che conosce e che ama. Stessa cosa per Sunny. Lavora col sorriso mentre muore dentro. Arriva a casa, si chiude in camera e non fa nient'altro per la rabbia che ha dentro. Cerca da cinque anni una soluzione per lui e la sua fidanzata ma non la trova. E non ci dorme nemmeno di notte.
Due anni che lavoravano insieme e non si erano mai parlati. Ci voleva un italiano, con la sua spontaneità, a metterli in comunicazione e fargli capire quanto piccola sia la distanza tra immigrati (questo siamo) di località così distanti. 

Franco entra, tira due parolacce e una bestemmia al fatto che non c'è nessuno mentre noi facciamo finta di lavorare: io lucido per l'undicesima volta il lavandino, Sunny aggiusta il fuoco sotto le padelle e guarda con falsa attenzione la friggitrice, Natasha allinea i taglieri e pulisce i coltelli... Franco esce perché fa troppo caldo in cucina, la conversazione ricomincia.

Ci scopriamo non più anonimi colleghi di una cucina, ma ragazzi e ragazze con sogni comuni, sofferenze, speranze. 

All'improvviso mi pare di avere un'illuminazione...
Poi ho scoperto che era una lucciola.
Mi spiego: la geniale idea era di unire le nostre risorse per creare un'agenzia viaggi che dall'Australia direzionasse i turisti verso Europa, Sud Africa e India. Idea ambiziosa, e apparentemente senza esosi costi iniziali. In cucina iniziammo così a fantasticare sulle mille opportunità... Sunny aveva una luce negli occhi che non gli avevo ancora visto, stessa cosa Natasha. Decisi così di parlarne con mia cugina, Laura, ormai da vent'anni nel mondo del turismo.
Inutile dirvi quanto sia stato pesante lo scontro con la realtà: le possibilità di successo nel settore sono infinitesimali, in quanto per una piccola agenzia è impossibile spuntare dei buoni prezzi sui biglietti aerei. Le grosse compagnie ne comprano migliaia a prezzi ridicoli, e grazie a questo possono offrire viaggi corposi a un prezzo ridotto. Impossibile competere coi colossi. Lei ha anche un'agenzia, ma per il settore corporate e business, e nonostante l'esperienza e l'abilità le sta andando veramente poco bene.
Con Sunny e Natasha ci eravamo dati appuntamento per oggi, lunedì, per parlare bene del progetto. Ma gli ho dovuto scrivere la verità, per messaggio. Domani dovrò incontrare di nuovo i loro sguardi, dovrò dare spiegazioni, dovrò assistere alla delusione di chi come me, per un istante, ci aveva creduto. Non sarà facile. E mi fa male il solo pensarci.

Oggi intanto sono andato con Amélie a spargere curricula in città. In due è più facile, ci si fa forza quando prende la timidezza, ci si motiva a vicenda nel momento dell'abbattimento, gli ostacoli diventano più piccoli pensando agli obiettivi.
Adesso va meglio, molto meglio di prima...

Ah! Nel mentre c'è stato anche il Capodanno Cinese! Amélie e io siamo capitati letteralmente in mezzo alla processione del drago dentro Chinatown! Entusiasmante! Così abbiamo deciso che almeno una volta nella vita dovremo andarlo a vedere in Cina, dove sicuramente le celebrazioni saranno senza paragoni!

martedì 5 febbraio 2013

Lava-lava-lava


Svaglia alle 5:50; caffè, tè, fetta di pane imburrata. Doccia. I primo neurone si è connesso e sta lanciando improperi per far svegliare gli altri. Il neurone relativo al controllo del tempo si accorge solo in questo momento che mancano solo 5 minuti. Se non mi sbrigo perderò il treno!
Corsa verso il garage, elmetto (obbligatorio nel victoria) e salto in sella della mountain bike. In 3 minuti sono in stazione e prendo il treno per un soffio: 6:49. Tanto erano fuori orario i treni nel periodo di vacanza, tanto sono puntuali ora... Cambio treno a Richmond, corri a prendere la coincidenza. Alle 7.30 sono a Canterbury, salgo in sella e in 10 minuti sono vicino al ristorante. Aspetto a distanza, mando qualche messaggio e alle otto meno cinque entro.
8:00 le mie mani sono nel lavandino e ne usciranno solo alle quattro di pomeriggio.
Metodico, perfeziono ogni movimento, risparmiando tempo nelle frazioni di secondo. In capo a due giorni il metodo è perfetto, velocità ottimale. Franco ha smesso di dirmi che avrà bisogno di affiancarmi una persona di domenica. Ha capito che non mollo. Piano piano sta anche realizzando chi sono, cosa sono, mentre lancio qualche indizio qua e là. Inizia a manifestare paura di perdermi, dicendomi che in altri posti non riceverei lo stesso trattamento, che sono stato fortunato, che sono capitato benissimo... Mi dice anche che l'aumento arriverà.
Ma per ora mi paga solo 15 A$ l'ora.
La rapidità dei movimenti, l'intensa vibrazione inferta al mio corpo mentre scrosto ad alta velocità le padelle e le teglie, la continua torsione per caricare e scaricare la lavastoviglie stanno modellando il mio corpo: in una sola settimana già si definiscono i quattro addominali alti e si notano cambiamenti su pettorali e braccia. La bicicletta mattutina fa il resto sulle gambe. Chi ne soffre è la schiena, ma se ne dovrà fare una ragione. Il vero problema sono le mani: stanno valutando l'alternativa evolutiva di mettere squame e branchie. Per il momento l'unica mutazione efficace è la squamatura. Perdo pelle, troppo ammorbidita con l'acqua e il sapone, che se ne va come niente ogni volta che urto o striscio contro qualcosa, anche contro le mie stesse unghie.
Domenica è un inferno: si riempie quasi al massimo delle sue possibilità, riversando un fiume di ordini sulla cucina, quindi una valanga di piatti, pentole, padelle, posate e bicchieri su di me. Vado a velocità pazzesca per tenere il passo e ci riesco fino alle due e mezza di pomeriggio, poi mi tiro un unghiata nel pollice e inizio a sanguinare. Mi avvolgo uno scottex sul pollice mentre asciugo e lo tolgo mentre lavo. Non si rimargina, costringendomi a rallentare il passo. Per fortuna il picco di ordini è finito, ho vinto comunque la battaglia, anche se ferito.
Finisco con mezz'ora di ritardo. E nemmeno vengo pagato doppio, come invece vorrebbe la legge per il lavoro in giorno festivo... Rosico, ma martedì prenderò comunque i miei 705 dollari! Torno a casa con la forza sufficiente a srotolarmi sul letto a pelle d'orso. Intanto Amélie sta prendendo l'aereo: in poco più di 24 ore sarà da me; un'attesa di settantuno giorni giunge finalmente al termine!!!
Ora inizia la vera sfida.
Raddoppiano gli interrogativi, raddoppiano le opportunità. La posta in gioco è molto più alta, il premio è più succulento: riuscire a vivere insieme, con le nostre forze, in un paese straniero.
Iniziano i giochi!