Ebbene sì, sto
ancora lavorando in albergo. Ho passato il test dei tre piatti e posso dire con
orgoglio che da allora non mi è caduto niente, ma da qui la situazione è
tutt’altro che in discesa: entro tre mesi devo completare un corso e passare il
test sull’etica e i valori dell’hotel e devo dimostrare di essere diventato
indipendente e di saper comprendere ed eseguire gli ordini dei superiori,
altrimenti sono OUT. E questo di per se non è un problema. Il vero problema è
convivere con il vero e proprio indottrinamento operato a tutti i livelli sulla
bontà dell’hotel in questione, sulla sua unicità, eccellenza nella cortesia,
qualità… eccetera eccetera… fino alla nausea. Sapere di dover andare a lavoro
con la paura di essere interrogato su queste cacchiate, neanche fossi tornato
alle elementari, mi deprime.
È inutile pensare
a una sponsorship da parte dell’albergo: le leggi in questione sono molto
severe e io, non avendo un titolo di studio in hospitality, ne sono escluso in
partenza. La mia politica sarà quindi quella di guadagnare quanti più soldi ed
esperienza possibili cercando di sopravvivere al lavaggio del cervello
avvalendomi di un’antica tecnica spessissimamente utilizzata alle superiori:
fare il finto tonto. Potrei anche imparare a memoria le loro filastrocche e,
forse, sarebbe anche più facile. Peccato che a me interessi poco quanto sia
facile una cosa mentre trovo vitale che debba essere sensata. Accoppierò la
forza d’inerzia ad un’elevatissima qualità del lavoro, in modo da rendere
palese l’inutilità del loro puerile sistema. Già sanno che il mio lavoro è di
qualità: l’hanno notato e dopo nemmeno un mese e mezzo mi lasciano in completa
autonomia a gestire le sale e gli ospiti. Proprio questa settimana mi sono
state assegnate delle nuove leve e le sto istruendo non solo con quello che ho
imparato, ma anche con dei sistemi nuovi che sto creando per ottimizzare il
flusso del lavoro. Sembra incredibile ma nonostante la ristorazione sia uno dei
lavori più antichi, c’è tanto da ottimizzare e c’è spazio per l’innovazione.
Nel mentre,
abbiamo cambiato casa! Ora sono a pochissimi chilometri dall’albergo, solo
mezz’ora tra camminata e mezzi! Siamo proprio a ridosso dello Yarra, il fiume
di Melbourne, contornato di parchi e riserve. Condividiamo la casa con due
ingegneri e uno scrittore laureato in marketing; sommandoci due archeologi (noi
due), escono fuori un sacco di discussioni interessanti e scambi di opinioni su
argomenti decisamente non comuni! Sono simpatici e alla mano e in nemmeno una
settimana ci possiamo definire più che semplici conoscenti o meri coinquilini.
Il cambio di zona ha portato parecchia fortuna anche ad Amélie, la quale nel
giro di una settimana ha trovato lavoro in una pizzeria a soli 15 minuti di
camminata! Tutti gli sforzi per imparare la lingua e adattarsi a questa cultura
stanno portando finalmente qualche frutto. Non so quando ce ne andremo via di
qua, ma lo faremo a testa alta, consapevoli delle nostre capacità e ricchi di
esperienze indimenticabili: un bagaglio fondamentale e spendibile ovunque.
Nel frattempo, tra un turno e l’altro, ho ripreso a studiare 3D Studio Max, un programma di grafica tridimensionale. È una materia che avevo lasciato diversi anni fa ma che oggi sto riabbracciando con rinnovata passione e con la speranza di regalarmi un futuro migliore, possibilmente in Europa.
La voglia di
tornare a casa è tanta, nonostante qui abbiamo messo un pezzo di cuore: i
nostri primi stipendi, la nostra prima stanza insieme, le prime conquiste,
tutte con le nostre gambe. E poi tante, tantissime esperienza, decine di
persone preziose che ci hanno guidato, supportato, sopportato, ispirato… Vista
così sembra quasi che stia descrivendo la fine di questo viaggio e
probabilmente, presto o tardi, la fine del viaggio arriverà.
Ma non oggi. Non
ora.
Ci sono ancora
tante sorprese e tante sfide per noi in questa terra australe.
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