I primi giorni mi
viene chiesto più di una volta se sappia fare una cosa o l’altra. La logica
spesso potrebbe fornirmi le risposte, ma ho notato fin troppo spesso, negli
ambienti di lavoro, che la logica è subordinata al “s’è sempre fatto così”
quindi, puntualmente, rispondo di no.
Così, un giorno uno dei supervisor mi chiede:
Così, un giorno uno dei supervisor mi chiede:
“Dimmi la verità,
ma tu l’hai mai fatto questo lavoro?”
“No, mai fatto.”
“E allora perché
ti hanno preso?”
“Non lo so. Al
colloquio gli ho anche detto che non avevo esperienza… ancora non capisco come
sia arrivato qui!”
“Non ci posso
credere… va bene, non ti preoccupare. Ti insegneremo tutto noi.”
In realtà le cose
da imparare non sono affatto difficili. Si tratta “soltanto” di memorizzare i
nomi degli oggetti, delle stanze, delle persone, la disposizione degli oggetti
nelle stanze per le persone, le persone da evitare mentre si spostano oggetti
nelle stanze, i comportamenti da evitare di fronte a certe persone, fuori o
dentro le stanze… insomma, poche variabili in un’infinità di combinazioni.
Ovviamente ci sono le complicazioni del caso: come per il vassoio da bicchieri, necessariamente coperto dallo sdrucciolevolissimo tovagliolo tanto inamidato da rimanere verticale o orizzontale senza bisogno di rituali magici, anche i piatti subiscono lo stesso trattamento. Troppo caldi per essere portati a mano, vengono adagiati sul tovagliolo, a sua volta steso, ripiegato in tre, su braccio e mano sinistra. Ovviamente i piatti devono essere veramente, ma veramente fashion, così fashion da avere una tesa lunghissima e un piede piccolissimo. Smaltati e inverosimilmente lisci, i piatti in questione si qualificano spesso ai primi posti del campionato mondiale di piatto a terra e piatto volante, con la gioia del pubblico pagante e, a volte, disastrosi incidenti con morti e feriti gravi (in particolare costosissimi vestiti da sera senza distinzione di genere). Dato che mi ero recentemente prodigato nell’antico sport del piatto a terra, evitando magistralmente di colpire in pieno uno degli ospiti, cautamente prendevo due soli piatti alla volta. La mia precauzione è stata repentinamente notata dal super-supervisore (non a caso abbreviabile in SS), il quale mi ha detto che se entro una settimana non fossi stato capace di portare tre piatti alla volta, potevo considerarmi OUT.
Ovviamente ci sono le complicazioni del caso: come per il vassoio da bicchieri, necessariamente coperto dallo sdrucciolevolissimo tovagliolo tanto inamidato da rimanere verticale o orizzontale senza bisogno di rituali magici, anche i piatti subiscono lo stesso trattamento. Troppo caldi per essere portati a mano, vengono adagiati sul tovagliolo, a sua volta steso, ripiegato in tre, su braccio e mano sinistra. Ovviamente i piatti devono essere veramente, ma veramente fashion, così fashion da avere una tesa lunghissima e un piede piccolissimo. Smaltati e inverosimilmente lisci, i piatti in questione si qualificano spesso ai primi posti del campionato mondiale di piatto a terra e piatto volante, con la gioia del pubblico pagante e, a volte, disastrosi incidenti con morti e feriti gravi (in particolare costosissimi vestiti da sera senza distinzione di genere). Dato che mi ero recentemente prodigato nell’antico sport del piatto a terra, evitando magistralmente di colpire in pieno uno degli ospiti, cautamente prendevo due soli piatti alla volta. La mia precauzione è stata repentinamente notata dal super-supervisore (non a caso abbreviabile in SS), il quale mi ha detto che se entro una settimana non fossi stato capace di portare tre piatti alla volta, potevo considerarmi OUT.
Del resto, tutti
riuscivano a portarne tre alla volta. Era solo una questione d’esercizio. Avevo
una settimana per imparare e non potevo permettermi di perdere il lavoro. Fatta
di necessità virtù, mi sono messo con Youtube a imparare le varie tecniche e ad
esercitarmi a casa. Il problema non era portarne tre alla volta, ma portarli
per tutta la serata! Una volta riuscito a padroneggiare lo scivolamento del
piatto sul tovagliolo rimaneva l’ingrato compito di costruire la muscolatura adatta
e, giorno dopo giorno, la biologia ha integrato ciò che mancava. Passati dieci
giorni, un nuovo evento che prevedeva pranzo e cena si prospettava
all’orizzonte. Insieme a me, ragazzi e ragazze da tutte le nazioni: Spagna,
Germania, Inghilterra, Cina, India, Sri Lanka, Nuova Zelanda, Korea, Nepal,
Cile, Argentina, Canada e, ovviamente, Australia… un incredibile miscuglio di
persone che si sono ritrovate a Melbourne per i più svariati motivi, un corpo
di ballo internazionale per la danza della ristorazione, decine di volti
sorridenti pronti a offrire il meglio di se, comandi impartiti in ogni lingua,
come equipaggio di un galeone pronto ad affrontare la tempesta.
Ognuno pronto, al
proprio posto.
Entrano gli
invitati.
Inizia la danza.
E il super-supervisore,
in centro alla cucina, dirige l’orchestra.