mercoledì 23 aprile 2014

"Ma tu l'hai mai fatto?"



I primi giorni mi viene chiesto più di una volta se sappia fare una cosa o l’altra. La logica spesso potrebbe fornirmi le risposte, ma ho notato fin troppo spesso, negli ambienti di lavoro, che la logica è subordinata al “s’è sempre fatto così” quindi, puntualmente, rispondo di no.
Così, un giorno uno dei supervisor mi chiede:
“Dimmi la verità, ma tu l’hai mai fatto questo lavoro?”
“No, mai fatto.”
“E allora perché ti hanno preso?”
“Non lo so. Al colloquio gli ho anche detto che non avevo esperienza… ancora non capisco come sia arrivato qui!”
“Non ci posso credere… va bene, non ti preoccupare. Ti insegneremo tutto noi.”

In realtà le cose da imparare non sono affatto difficili. Si tratta “soltanto” di memorizzare i nomi degli oggetti, delle stanze, delle persone, la disposizione degli oggetti nelle stanze per le persone, le persone da evitare mentre si spostano oggetti nelle stanze, i comportamenti da evitare di fronte a certe persone, fuori o dentro le stanze… insomma, poche variabili in un’infinità di combinazioni.

Ovviamente ci sono le complicazioni del caso: come per il vassoio da bicchieri, necessariamente coperto dallo sdrucciolevolissimo tovagliolo tanto inamidato da rimanere verticale o orizzontale senza bisogno di rituali magici, anche i piatti subiscono lo stesso trattamento. Troppo caldi per essere portati a mano, vengono adagiati sul tovagliolo, a sua volta steso, ripiegato in tre, su braccio e mano sinistra. Ovviamente i piatti devono essere veramente, ma veramente fashion, così fashion da avere una tesa lunghissima e un piede piccolissimo. Smaltati e inverosimilmente lisci, i piatti in questione si qualificano spesso ai primi posti del campionato mondiale di piatto a terra e piatto volante, con la gioia del pubblico pagante e, a volte, disastrosi incidenti con morti e feriti gravi (in particolare costosissimi vestiti da sera senza distinzione di genere). Dato che mi ero recentemente prodigato nell’antico sport del piatto a terra, evitando magistralmente di colpire in pieno uno degli ospiti, cautamente prendevo due soli piatti alla volta. La mia precauzione è stata repentinamente notata dal super-supervisore (non a caso abbreviabile in SS), il quale mi ha detto che se entro una settimana non fossi stato capace di portare tre piatti alla volta, potevo considerarmi OUT.

Del resto, tutti riuscivano a portarne tre alla volta. Era solo una questione d’esercizio. Avevo una settimana per imparare e non potevo permettermi di perdere il lavoro. Fatta di necessità virtù, mi sono messo con Youtube a imparare le varie tecniche e ad esercitarmi a casa. Il problema non era portarne tre alla volta, ma portarli per tutta la serata! Una volta riuscito a padroneggiare lo scivolamento del piatto sul tovagliolo rimaneva l’ingrato compito di costruire la muscolatura adatta e, giorno dopo giorno, la biologia ha integrato ciò che mancava. Passati dieci giorni, un nuovo evento che prevedeva pranzo e cena si prospettava all’orizzonte. Insieme a me, ragazzi e ragazze da tutte le nazioni: Spagna, Germania, Inghilterra, Cina, India, Sri Lanka, Nuova Zelanda, Korea, Nepal, Cile, Argentina, Canada e, ovviamente, Australia… un incredibile miscuglio di persone che si sono ritrovate a Melbourne per i più svariati motivi, un corpo di ballo internazionale per la danza della ristorazione, decine di volti sorridenti pronti a offrire il meglio di se, comandi impartiti in ogni lingua, come equipaggio di un galeone pronto ad affrontare la tempesta.
Ognuno pronto, al proprio posto.
Entrano gli invitati.
Inizia la danza.

E il super-supervisore, in centro alla cucina, dirige l’orchestra.

martedì 8 aprile 2014

Tutto da imparare




Dovete sapere che i vassoi da bicchiere, generalmente, sono in materiale antiscivolo. E mi pare anche logico, visto che i bicchieri sono di vetro o cristallo e il gironzolare per la sala non aiuta certo alla stabilità. Peccato che per un cinque stelle il tradizionale vassoio sia una cosa estremamente vergognosa, antiestetica, così poco di classe. Per alzare lo standard si prende quindi un bel tovagliolo nero o rosso, inamidato, e lo si adagia sul vile pezzo di plastica. Ecco, ora è grazioso!

Immagine: da internet
Peccato che il tovagliolo inamidato non sia proprio conosciuto per le sue proprietà antiscivolo… il vassoio è ora una pista di pattinaggio sul ghiaccio e i cristalli sono liberi di pattinare da una parte all’altra della circonferenza, fermati dal bordino rialzato che, eventualmente, offrirà una scusa al bicchiere suicida, stanco di anni di servizio e ubriaco per la natura stessa del suo lavoro, per farla finita e buttarsi giù.

Accadde così che il mio primissimo giorno di lavoro fosse programmata una funzione da trecento invitati e che mi fosse assegnato un vassoio da dieci bicchieri… un vassoio standard insomma. Il peso complessivo si aggira attorno ai due chili e mezzo, che di per se non sarebbe tanto, ma due complicazioni rendono la faccenda tutt’altro che facile: il doverlo portare per tre o quattro ore di fila e il doverlo tenere in equilibrio in movimento.

Io, digiuno di ogni qualsivoglia nozione in merito, presi con coraggio il vassoio e mi diressi con apparente convinzione fin fuori dalla sala bar, osservando preoccupato il dondolare funesto dei bicchieri. In particolare era difficile tenere ferme le flûte (bicchieri alti e stretti da champagne o vino bollicinoso), che tentavano continuamente di uscire fuori baricentro.

I primi ospiti prendono i primi bicchieri, nemmeno cinque minuti e già sento tutto il peso del vassoio. Provo ad aiutarmi con l’altra mano ma il problema è un altro: il mio cervello non sa ancora come gestire uno strumento del genere. Rimasti soli cinque bicchieri sul vassoio c’è spazio per un po’ di pattinaggio: il bicchiere da birra, con un baricentro molto basso, scivola felice da una parte all’altra; allo stesso tempo le due flûte cozzano l’una con l’altra e iniziano a roteare fuori asse mentre il calice da vino rosso rimane impassibile a osservare la scena scambiando due chiacchiere col bicchiere basso e tozzo dell’acqua. Osservo la scena con la coda dell’occhio e istintivamente inizio un movimento rapido di assestamento. Ora anche il calice da vino è fortemente preoccupato mentre il bicchiere da birra e quello dell’acqua ridono sapendo già come andrà a finire. Come paracadutisti dal portellone di un aereo una flûte segue l’altra, seguita poi dal calice, mentre birra e acqua rimangono a comando del velivolo. La moquette offre un atterraggio morbido ai temerari fragili paracadutisti assorbendo in men che non si dica tutto il liquido, sotto lo sguardo preoccupato e divertito degli invitati. Due signore vedendo la mia faccia sgomenta con occhi sgranati raccolgono i bicchieri, me li piazzano sul vassoio e mi dicono “tranquillo, siamo mamme, di che è stata colpa nostra”… sorrido, ringrazio e scappo. Entro di nuovo nel bar per fare un secondo giro e, proprio sul varco, i bicchieri ricominciano la loro danza, ma stavolta il pavimento è di cemento. Proprio sotto gli occhi del supervisore mando in frantumi tutta la mia cristalleria. Mi guarda con aria tra il sorpreso e il disperato e mi dice di correre a portare un altro vassoio.

Prendo il secondo vassoio e, subito dietro la porta chiedo a David, un ragazzo dello staff, come si tenga il vassoio. Me lo mostra e finalmente noto un miglioramento della stabilità! Fino a fine serata riesco a non far cadere nessun altro bicchiere! Ma la settimana è solo all’inizio e io ho tutto da imparare.

Ogni istante è un vocabolo nuovo da assimilare, una nuova procedura, la scoperta di un altro ambiente dell’albergo. Ancora non capisco perché mi abbiano preso e mi chiedo se sappiano che non ho esperienza.