Lavorare due giorni a settimana, con il minimo sindacale, non è certo
remunerativo e, tantomeno, gratificante. E sarebbe anche accettabile se non
fosse che avevano detto che di lavoro ce n’era, e ce n’era tanto. Mentre Amélie
è costretta al riposo forzato, io lavoro cinque giorni a settimana portando
avanti uno dei lavori peggiori che si possano fare in vineria: pulire le
cisterne.
La vineria è continuamente a temperatura ottimale per la replicazione di
funghi e batteri; l’umidità nell’aria si attacca alle cisterne e insieme alle
polveri fornisce substrato per le muffe che crescono e proliferano indisturbate
opacizzando la rilucente superfice d’acciaio. Ma, una volta l’anno, tutto
questo deve essere pulito. 76 cisterne d’acciaio, la più piccola da 9000 litri,
zozze da far spavento, alcune ricoperte di escrementi di rondini. Contro
cotanta sozzura solo un uomo, con una scopa e un secchio.
Solo come un cane inizio l’increscioso lavoro. Ogni mattina riempio il
secchio con acqua calda e un sapone fortemente alcalino e mi metto a scrostare
mesi di propagazione di spore e replicazione cellulare. Arrivo in posti
impensati scoprendo di essere il primo umano in decine di anni a raggiungere
queste forme di vita primitive. Senza pietà cerco di arrestare questo rigoglioso
filone evolutivo spingendolo in anfratti lontani dal mio acciaio. Il lavoro
viene apprezzato molto dalla direzione e ricevo i complimenti da ogni passante
e ogni capo. Ma la solitudine non è cosa per me.
Passano dieci giorni, Amélie continua a lavorare solo due giorni. Dentro di
me la domanda si fa sempre più forte e, nella solitudine, non c’è nessuno a
spegnere la mia rabbia: perché ci hanno mentito. Ma no, non hanno mentito,
hanno detto una mezza verità… del resto per me c’è un sacco di lavoro…
La solitudine cresce, nella terza settimana. Parlo con le cisterne e come
Quasimodo incomincio a dargli dei nomi. Finite le Tre Marie passo al Big Bang e
poi arriva il momento delle Biancone… Canto da solo, parlo da solo... ogni
tanto passa qualcuno e nota la mia espressione affranta, ma continuo il mio
lavoro. Una di queste volte passa il Manager, mi chiede se va tutto bene. No,
non va tutto bene. Lo guardo negli occhi e gli dico: “perché ci avete mentito?
Perché avete detto che c’era tanto lavoro e invece lavoro solo io?” Chris si
difende, dice che per me il lavoro c’era e che Ame sta sotto un altro manager.
Mi consiglia di andarlo a chiedere a lui e mi stupisce con la sua cortesia,
nonostante l’aggressione frontale. Mi regala un’ora di pausa pagata per andare
a chiarirmi con l’altro manager, a cui pongo la stessa domanda. Pare confuso,
non se l’aspettava, parla di un ordine che deve entrare ma non entra… ma la
situazione non cambia. Ame continua a lavorare solo due giorni e questo copre
solo le spese di cibo e affitto.
Durante il week-end lungo dell’Australia Day ne approfittiamo per
schiarirci le idee e ci facciamo una bella scorrazzata di 1200 km per respirare
un po’ d’aria sulla costa. La natura come sempre risana i danni creati
dall’uomo e regala calma e serenità nei momenti difficili. La Great Ocean Road
ci conduce lungo la costa sotto un cielo blu da fotografia, con l’oceano
agitato e le onde che spruzzano da sotto gli scogli. Una notte nel bosco, una
passeggiata tra gli scogli, qualche profonda chiacchierata con illustri
sconosciuti, un rapido bagnetto nell’oceano… l’acqua, così fredda da
scoraggiare qualsiasi abitante del mediterraneo: giusto il tempo di farla
arrivare alla vita e già si è persa consapevolezza delle gambe! Il vento
insistente e fresco verga la restante parte del corpo, rendendo l’esperienza
sufficientemente spiacevole da farci desistere.
Si torna ad Avoca. La decisione è presa.